Immaginate di attraversare una densa nebbia, interrotta da ombre e riflessi, nella quale abitano, nascoste nelle nicchie, figure umane ammantate e immobili. Immaginate di scendere in una grotta, sprofondata tra le radici di un monte, spartanamente arredata con pietra e stoffa, tappeti di foglie e specchi prismatici. Adesso prendete posto sulle panche e sui gradoni, chiudete il circolo raccolti attorno al vecchio e pesante braciere di bronzo, al centro del quale una lama di luce precipita dalla sommità della caverna. Prima che il comandante prenda la parola per parlare alle truppe, pronunciando la prima battuta del testo, vi rendete conto di essere già altrove, non vedete più il teatro perché ne fate parte, l’esercito a cui il condottiero si rivolge siete voi.

Inizia così “La Donna Guerriera”, rappresentato al Teatro di Documenti a Testaccio dal 20 al 22 Marzo con regia di Ivana Pantaleo e testo di Sibilla Barbieri, entrambe in scena, e neppure nel teatro più prestigioso, dall’architettura più sofisticata e con la coreografia più tecnologica, si sarebbe potuto vestire lo spettacolo di un abito più adatto.

Siamo in un Medio Evo parallelo, tra le guerriere chiamate a difendere la città durante un assedio, intorno al braciere si riunisce il consiglio di guerra, in un’epoca in cui la lama è strumento e prosecuzione del braccio come nella Spada Occidentale, e insieme anima, come nel Bushido. Fuori, appena oltre il fiume, c’è il nemico in numero cinque volte superiore. Lontano nel suo palazzo una regina inaccessibile, estranea ma abbastanza saggia da richiamare per l’ultima battaglia il più vittorioso dei suoi capitani, per metà di sangue barbaro e dunque tenuto i disparte malgrado i suoi meriti. Il nemico è oscuro, sconosciuto, feroce e inumano, è qui per distruggere non per conquistare, nulla sarà più dopo il suo passaggio. Gli alleati interni sono ambigui, quelli esterni tardano ad arrivare, il comandante si rifugia nei ricordi e i sospetti si trasformano in dubbi profondi. Il canone è quello del dramma militare e, se mai fosse stato lecito dubitarne, la femminilità delle attrici non sottrae nulla alla solennità militare e alla durezza sanguinaria del contesto, né questi sottraggono nulla a quella.

Il disegno luci e le musiche sono di Andrè Alce Maldonado, scene e costumi nascono all’interno del progetto Nanael, linea di moda ideata dalla regista, interamente realizzati con tessuti biologici e materiali di recupero. Il testo di Sibilla Barbieri, già finalista al Premio Enrico Maria Salerno, dosa splendidamente le note epiche e quelle intime, utilizza una lingua elegante e ragionata, sa essere poetico. In alcune ricercatezze rende omaggio all’ambientazione, ma senza manierismi e anacronismi aulici, tutto è costruito con l’equilibrio appropriato per raccontare questa storia e sposarne il ritmo. Ivana Pantaleo recita bene, cura la bella regia e canta splendide melodie arcane, vocalizzazioni dai lessemi irriconoscibili e dagli echi tribali, dimostrando anche in questo versatilità e talento. Marta Iacopini è impeccabile nel ruolo del questore, intensa e brillante, antagonista vagamente luciferina intenta a provocare, mettere in discussione e velatamente minacciare il comandante, in un bel duello tra la sua energia e la presenza scenica maestosa ed eterea della Barbieri nel ruolo del condottiero. La quarta azzeccata guerriera è Silvia Mazzotta, la più marziale ed eroica, è colei che scruta tra le ombre della caverna in cerca del nemico, il soldato che obbedisce e non dorme mai, lei è il sacrificio e come tale non ha tempo per i dubbi né per i ricordi. Gli uomini non ci sono, nessuno vi allude, non vengono mai menzionati, ed è in questa assenza che i generi, lungi dal negarsi reciprocamente, si guardano infine allo specchio: il come e il perché questo accada è bene che lo si sveli ancora una volta in scena, consigliando alla compagnia di riproporlo e a voi di non perderlo.

 

di Daniele Trovato

Twitter: @aramcheck76

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