L’Italia? Un Paese per raccomandati

Non rivela nessun arcano la ricerca del Censis dal titolo “La composizione sociale dopo la crisi”, che dipinge un quadro sconcertante e che poco lascia sperare per il futuro del Belpaese. Una Pubblica Amministrazione che non funziona o, se funziona, funziona male perché incastrata nel sistema del “regalino”, del “favore”, dell’”amico” , della “spintarella” e della “mazzetta extra” da recuperare di qua e di là. A dare credibilità a queste dicerie, che spesso siamo abituati a sentire, sono i dati della ricerca portata avanti dall’Istituto presieduto dal Dr. De Rita. Ammonterebbe a 800 mila il numero degli italiani che sono ricorsi all’espediente del “regalino” ad un dipendente della Pubblica Amministrazione, cifra che effettua un vorticoso salto in alto e arriva a toccare i 4,2 milioni, se si contano tutti coloro che per un motivo o per un altro, come l’accelerazione di una pratica o la concessione di un’autorizzazione non proprio regolamentare, sarebbero ricorsi a qualche conoscenza qualche conoscenza. Si tratta di cifre da spavento, che ben evidenziano lo spaccato dell’Italia dei nostri giorni e ne rivelano la duplicità: in pubblico sono tutti pronti a gridare contro il politico o il dirigente che chiede favori per se stesso o per la propria famiglia (il caso del Ministro Lupi è solo l’ultimo di una lunga serie), e poi, in privato, sono tutti pronti o quasi a emularlo, a chiedere favori a destra e a manca, ovviamente nei limiti delle proprie possibilità. Molte volte, tuttavia, il ricorso a questi mezzi poco ortodossi, ma probabilmente necessari, è giustificato da una effettiva inefficienza e una macchinosità della Pubblica Amministrazione. La ricerca del Censis descrive un sistema pubblico che non agevola affatto il cittadino ma che spesso ne diventa nemica. Dati alla mano, il 63,5% degli italiani si ritiene insoddisfatto dal funzionamento della macchina pubblica, il 21,5% dichiara addirittura che questa sia peggiorata rispetto agli anni precedenti.

Come superare questo impasse? Il 34,7% degli italiani ha dichiarato la necessità di assumere dirigenti giovani, dinamici e capaci di organizzare le cose in modo migliore e più efficiente; il 22,1% chiede che i dipendenti pubblici siano licenziabili allo stesso modo di coloro che lavorano nel privato, mentre il 19,3% chiede che i più meritevoli vengano pagati meglio. Aprire le porte al merito e chiudere o socchiudere quelle dei favoritismi e delle raccomandazioni, questo è quello che si augurano i cittadini italiani. Auspicano un servizio pubblico più efficiente, più limpido, più giusto, più snello e più veloce. Un’utopia? Chi pùo dirlo!

Stando ai dati si riscontra una sorta di ripresa dell’economia italiana nell’ultimo anno: sono oltre un milione le società di capitali attive definite nel rapporto “le più robuste e strutturate nell’universo di 5,2 milioni di imprese italiane complessive, quelle in grado di attirare risorse e mettersi in marcia verso la ripresa”. Queste società sono aumentate del 105% tra il 2000 e il 2014 e del 33,5% anche negli anni di crisi 2007-2014. E ci sono 212.000 imprese esportatrici e soggetti economici che per crescere decidono di internazionalizzarsi e fare business all’estero), per un valore dell’export pari nell’ultimo anno a 380 miliardi di euro, avvantaggiato anche dal calo dell’euro e dal crollo del prezzo del petrolio. Gli effetti positivi riguardano soprattutto il settore della ristorazione, a seguire quello del commercio e poi quello dei servizi alle imprese. Purtroppo però questa “ripresa economica” non è accompagnata da un miglioramento della situazione sociale, la ricerca infatti denuncia un grossa emergenza: 615 mila sarebbero i posti di lavoro persi durante questo periodo di crisi, di conseguenza risulta un forte aumento del precariato. Facendo un’indagine sugli assunti del 2013 risulta che: il 60,2% è stato assunto con contratto a tempo determinato (nel 2007 erano il 51,3%). I precari sono stati quelli più colpiti dalla crisi avendo subito licenziamenti e ritrovandosi a casa da un giorno all’altro per mancato rinnovo del contratto di lavoro. Ora che si annuncia la ripresa, gli italiani dicono no a ogni forma di precariato. Per il 67,5% pagare meno o dare meno tutele a chi entra nel mercato del lavoro non è giusto, perché “si creano fasce di lavoratori penalizzati e facilmente ricattabili”.

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