Atene a Berlino: pagate i danni di guerra
A poco più di un mese dalla prova di aprile, data in cui è previsto il versamento dell’ultima tranche di 7,2 miliardi di euro del piano di aiuto esteso di quattro mesi dall’Eurogruppo del 20 febbraio, il livello dello scontro tra Grecia e Germania continua a salire.
L’apice è stato toccato in due occasioni questa settimana: la prima, quando il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, in risposta a una lettera ricevuta venerdì scorso dal Ministero delle Finanze del nuovo governo di centrosinistra di Atene, ha dichiarato che la lista di sette riforme consegnata da Atene non è sufficiente e soprattutto è lontana dall’essere completa. Una doccia fredda che non segna certo una battuta d’arresto delle trattative, ma sottolinea sicuramente il fatto che i falchi non hanno ancora nessuna intenzione di diventare colombe.
Sul finire della settimana la Grecia ha alzato il tiro, cercando ancora una volta di spostare l’ago della questione dal campo dei tecnicismi a quello dell’etica e della politica: “rispettare gli impegni, pagare i debiti non vale soltanto per la Grecia ma anche per la Germania”. Il messaggio è chiarissimo, e fa riferimento a una questione vecchia di decenni e che interessa non solo la Grecia ma molti altri Paesi tra cui l’Italia: il risarcimento per i crimini di guerra perpetrati dalla Germania durante l’occupazione nazista.
Quella che a qualcuno può sembrare una boutade di Tsipras e compagni è in realtà una questione spinosa e realistica. Ed è anche questione annosa: è infatti dai tempi della conferenza di Parigi del 1946 che il credito greco nei confronti della Germania non viene saldato. Le dichiarazioni di questa settimana sono infatti basate su due pilastri fondamentali: il risarcimento per le vittime dell’occupazione nazista e quello per i prestiti forzosi imposti dal Reich alla Banca di Grecia per la manutenzione dell’esercito di occupazione in Grecia e delle truppe in Africa.
La conferenza di Parigi quantificò la cifra da rimborsare al governo di Atene in 7 miliardi di dollari dell’epoca, oggi circa 160 miliardi di euro senza considerare gli interessi. Tuttavia, e giustamente, le cifre di cui parla Atene si mantengono su una forbice che va dagli 11 ai 50 miliardi di euro in base a due altre conferenze tenute nella seconda metà del Novecento. Nel 1953 infatti la conferenza di Londra stabilì di ammortizzare del 62% il debito tedesco, esattamente la stessa cosa che oggi la Germania nega alla Grecia, per permettere alla Germania di risollevarsi dalla crisi e rinviò sine die il problema delle riparazioni. Problema che per i tedeschi, ma solo per loro, è stato giuridicamente risolto nel 1990 con il Trattato di Mosca per l’unificazione delle due Germanie, nel quale il problema delle riparazioni non viene menzionato, e dunque, se non se ne fa cenno, vuol dire che è da considerarsi risolto.
Alcuni invece pensano che non lo sia per niente, ed è questo il senso dell’aggressione sul piano morale che il governo di Atene ha scatenato in questi giorni. Il parlamento greco ha infatti approvato all’unanimità la ricostituzione della commissione parlamentare per la rivendicazione dei danni di guerra, dei debiti e dei reperti archeologici dell’antica Grecia trasferiti in Germania durante l’ occupazione nazista. In più, il ministro della Giustizia, Nikos Paraskevopoulos (considerato uno dei migliori penalisti di tutta al Grecia), ha dichiarato di essere disposto a dare atto alla sentenza del 2000 emessa dall’Arios Pagos, la Corte suprema ellenica, la quale prevede la confisca dei beni tedeschi in territorio greco visto che la cancelleria tedesca non è disposta a risarcire i parenti delle vittime dei nazisti a Distomo, paese della Beozia in cui il 10 giugno 1944 le SS uccisero per rappresaglia 228 persone, tra cui 53 bambini e ragazzi sotto i 16 anni.
Per una sentenza simile l’Italia era stata citata dalla Germania alla corte dell’Aja nel 2012, e aveva perduto. Ma in seguito alla sentenza del tribunale speciale la Corte Costituzionale aveva dichiarato di non poter “fare altro che violare i principi del diritto internazionale sanciti dall’Aja. Dare esecuzione alla decisione dei giudici internazionali, infatti, significherebbe violare la nostra Costituzione che prevede l’accesso alla Giustizia per le vittime. Non si può stabilire che le vittime di crimini di guerra non hanno diritto a essere risarcite perché non c’è modo di chiamare in causa chi deve risarcire”*.
La Grecia quindi ha assolutamente tutte le possibilità oggettive per presentare una richiesta di riparazioni e scoperchiare un vaso di Pandora dagli effetti imprevedibili. E ancora, può far valere tale richiesta durante le trattative che la aspettano e rivendicare, qualora a Berlino continuassero ad avere il gusto dei muri, quello che politicamente ed eticamente ha tutto il diritto di rivendicare.
Note:
1. Articolo su Il Manifesto del 13 marzo.
* articolo su La Stampa del 12 marzo