Adozioni internazionali: perché diminuiscono?
L’Italia è sempre stata leader in Europa in tema di adozioni, si è sempre riconosciuta come Paese europeo culla dell’accoglienza dei minori meno fortunati provenienti da ogni angolo del mondo. Oggi però si riscontra un netto calo delle adozioni internazionali: stando all’ultimo Rapporto della Commissione per le Adozioni Internazionali (Cai), “il numero delle coppie italiane che nel 2013 ha adottato (2.291) segna una flessione del 7,2% rispetto al 2012 (2.469), del 27,3% se confrontato al 2011 e addirittura del 29,3% a paragone con il 2010”. Un calo evidente confermato anche dai dati relativi all’ingresso in Italia a scopo adottivo dei minori stranieri. Nel 2013 i bambini entrati nel nostro Paese sono stati 2.825, rispetto ai 3.106 nel 2012 e ai 4.130 del 2010.
Contestualizzando i dati e calandoli nello scenario storico-politico dell’Italia odierna, viene spontaneo desumere che la crisi economica possa essere uno dei fattori principali causa del calo delle adozioni in Italia. Quindi è lecito chiedersi: è la crisi a mettere a dura prova le famiglie italiane incidendo sulla loro potenziale generosità? O ancor di più gli elevatissimi costi delle pratiche necessarie per arrivare ad adottare un bambino? O le spese non indifferenti di viaggio e permanenza, spesso prolungata, nei Paesi d’origine dei bambini connesse alle estenuanti lungaggini per ottenere un figlio in adozione?
Sono tutte domande alle quali non si può, a mente lucida, rispondere con un no ma sicuramente non sono questi gli unici ostacoli da affrontare e cercare di superare se si vuole adottare un bambino. Bisogna infatti prendere in considerazione altre dinamiche. Primo tra tutti il fatto che molti dei Paesi che, fino a qualche anno fa, rendevano disponibile per l’adozione un numero elevato di bambini, oggi hanno ristretto drasticamente lo stesso operando copiosi tagli. A questo proposito è doveroso citare il 7° Rapporto del Crc (il gruppo di lavoro italiano che si occupa di monitorare lo stato di attuazione della Convenzione Onu del 1990 sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia), che afferma che il calo delle adozioni internazionali è imputabile anche ai cambiamenti legislativi e procedurali in materia di adozioni che si sono verificati nei paesi stranieri oltre che a un maggior utilizzo degli strumenti dell’affido e dell’adozione nazionale che sono stati implementati attraverso migliori politiche di welfare locali. Non bisogna sottovalutare che molti dei Paesi tradizionalmente “generosi” nella disponibilità di minori adottabili, stanno via via ratificando la Convenzione dell’Aja che l’Italia ha ratificato con la legge 476 del 1998 che impone “l’obbligo di mettere in atto tutti i meccanismi necessari per incentivare l’adozione nazionale e limitare “l’esportazione” al minimo indispensabile”. Alla stessa prescrizione si riferisce l’articolo 21 della CRC (Convenzione Onu del 1990) che recita: “L’adozione in un altro paese può essere considerata un mezzo alternativo di assistenza al fanciullo, qualora questi non possa trovare accoglienza in una famiglia affidataria o adottiva nel proprio paese d’origine o non possa trovare nel suddetto paese un’altra soddisfacente sistemazione”. L’adozione all’estero, insomma, è una possibilità, ma deve essere la più remota tra le possibilità. L’obiettivo comune degli Stati che hanno ratificato la Convenzione dell’Aja è che il numero delle adozioni internazionali, con il tempo, si avvicini e raggiunga lo zero perché non necessarie. Questo starebbe a significare che il diritto del minore a vivere nel suo paese di origine con il supporto adeguato alla propria realizzazione sarebbe tutelato.
Da considerare poi, c’è anche il fattore delle “scelte personali” che lasciano trapelare la progressiva perdita dei valori di solidarietà, generosità e apertura alla vita che dovrebbero stare alla base del lodevole gesto di adozione. Oggi infatti si arriva sempre più spesso a considerare la possibilità di intraprendere l’iter adottivo solo in seconda battuta, solo dopo aver provato ripetutamente ad avere un figlio ricorrendo a vari tentativi di fecondazione assistita, nelle sue diverse tipologie. Solo il fallimento di uno o più tentativi, spesso convince ad orientarsi verso l’adozione.