Italicum: il Partito Democratico si spacca
Passato al vaglio del Senato il 27 gennaio l’ Italicum si prepara all’approvazione della Camera in seconda lettura. Ricapitolando il nuovo testo della legge elettorale prevede tre punti fondamentali: Capolista bloccati, sistema a doppio turno quindi eventuale ballottaggio per le due liste più votate laddove nessuno schieramento riesca a superare il 40% dei voti e soglie di sbarramento al 3% per tutti i partiti nel complesso, al 4% per le singole coalizioni, dell’8% per chi corre da solo.
La norma oggetto di discussione da mesi e pluri-annunciata da Renzi rischia però di trovare lo stop al secondo giro. Attriti e dissidi si riscontrano soprattutto dalla minoranza del PD che, dopo la pace attorno all’elezione di Mattarella, rimescola le carte rievocando i tempi del Jobs act. Da Cuperlo a Bersani sino a Fassina, Civati e la Bindi tra i democratici il clima è teso e il dialogo strozzato. A non andare giù lo stop del Premier su eventuali modifiche al testo della legge elettorale. All’indomani dell’elezione del Presidente della Repubblica, infatti, la Bindi aveva annunciato la necessità di apportare miglioramenti all’ Italicum, appellandosi all’apertura avuta da Renzi in quella particolare contingenza. Un appello rimasto inevaso dal Governo che già con il Jobs Act aveva ignorato i pareri delle commissioni parlamentari suscitando la reazione infiammata, persino, della Presidente Boldrini. Le circostanze si replicano nelle ultime ore, infuocando gli animi nel partito sino a portare la diserzione dei dissidenti Pd all’incontro promosso da Renzi per discutere i punti cruciali del programma di Governo. Un incontro, che si avrà a criticare come pantomima, sottolineandone il metodo controproducente: un’ora per ogni tema (scuola, Rai, fisco e ambiente) realisticamente insufficiente per un confronto costruttivo. Sono 100 i democratici presenti contro i 400 del Partito Democratico, mentre a farla padrona sui giornali sono le repliche degli assenti illustri. Bersani, su Avvenire dichiara: “Non siamo figuranti” mentre Cuperlo commenta l’evento di Palazzo Chigi, così: “Caro presidente chiedi suggerimenti e linee di lavoro dopo che sul jobs act il governo ha ignorato esattamente suggerimenti e linee votati dalla direzione del Partito democratico e poi dalle commissioni parlamentari. Dopo che sulla riforma costituzionale non avete tenuto conto neppure di un voto che avrebbe permesso, ora al Senato, di correggere quelle storture e incoerenze che rischiano, nei fatti, di rendere farraginosa la riforma. Dopo altre ‘bocciature’ a proposte di puro buon senso”. A sostenere poi la linea di chiusura della minoranza arriva anche Renato Brunetta che cinguetta un per niente timido: “Forza Bersani”, pungolando il Premier che senza Forza Italia e le minoranze interne scricchiola sui numeri.
Più distesi, invece, i commenti dello zoccolo di ferro renziano. Lo stesso Matteo Renzi si dice tranquillo: “Abbiamo offerto un’occasione di confronto in più, polemiche e lamentele sono incomprensibili”. Dello stesso avviso Debora Serracchiani: “Si deve andare avanti anche con la discussione, però anche con la capacità di dare risposte” ed in fila per tre con il resto di due tutto il cerchio dei fedelissimi del Premier. Se quindi sulla carta Renzi rischia il flop nella realtà ha sempre dimostrato il contrario, la prova arriverà alla conta dei voti ma visti i precedenti, il Governo sembra poter dormire sonni tranquilli.