Il nuovo corso di Tsipras e Varoufakis
All’indomani delle prime trattative petto a petto tra la Troika e il ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis quasi tutti i giornali in Italia, da destra ma anche da sinistra, tuonano contro la marcia indietro del neo governo di Alexis Tsipras.
Bisogna ammettere che l’occasione era ghiotta, e poi d’altronde si sa, gli italiani son gente dalla memoria corta. In più il dissenso interno a Syriza, emerso nelle parole dell’icona partigiana Manolis Glezos, serviva su un piatto d’argento il titolone che tutti non vedevano l’ora di scrivere: non ce la fanno.
A far cosa però nessuno se lo è chiesto, perché l’unica marcia indietro in questo caso sarebbe rispetto alla rivoluzione. E dunque scriviamolo pure noi: i Greci non hanno fatto la rivoluzione socialista in 30 giorni, e in questo Tsipras ha fallito.
Se invece di scrivere titoli velleitari volessimo fare un attimo le persone serie, dati alla mano, scopriremmo che allora le cose sono radicalmente diverse e Atene non è ancora caduta sotto le bordate di Berlino. Anzi, tutto il contrario.
E’ cambiata in particolare una cosa, la prassi politica. Le concertazioni tra il governo Papademos (2011), il governo Samaras (2012) e la Troika infatti avvenivano più o meno in questo modo: da parte degli organismi della Troika partivano delle delicatissime mail indirizzate all’esecutivo dove c’era scritto che bisognava fare così così e così. Atene è stata commissariata e governata via mail da istituzioni fantapolitico-finanziarie fino al dicembre del 2014, quando l’ultima mail indirizzata all’ex ministro delle finanze Ghikas Hardouvelis esigeva ulteriori tagli a pensioni e stipendi pubblici e l’abolizione di ogni diritto sindacale sul luogo di lavoro (leggi articolo qui).
Poi invece ha vinto Alexis Tsipras e i termini della concertazione sono stati rovesciati: è stata Atene a proporre un piano di azione agli organismi internazionali, calciando via i mercanti dal Partenone.
Quindi, sebbene nessuno lo dica, il successo di Tsipras e Varoufakis è, e vuole essere, politico, poiché eminentemente politica è la loro battaglia. Ed è per questo motivo che occorre smontare il più velocemente possibile le ambizioni del governo di Syriza prima che facciano la rivoluzione senza dare l’assalto al palazzo d’inverno: perché altrimenti qualcuno potrebbe imitarli. Anche agli italiani o agli spagnoli più addormentati potrebbe passare per la mente l’idea che la via parlamentare alla gestione della politica e della storia non sta tutta e solamente nel seminato del neoliberismo, dell’austerità e del capitalismo deregolamentato e vorace.
Non a caso non sono stati i Paesi più solidi a scatenare la campagna mediatica sul fallimento greco ma quelli traballanti, Spagna e Portogallo in testa al seguito della gonnella della Merkel e Italia in coda. Paesi mediterranei molto simili alla Grecia dove il terribile spettro di Alexis e Yanis fa più impressione di quello di Marx ed Engels. Dunque approfittarne prima che sia tardi per dargli addoso, tanto nessuno si ricorda di quello che c’è stato prima di Syriza e tanto meno si andrà a leggere le proposte di Varoufakis. Invece no.
Anzitutto: il programma presentato lunedì notte al capo dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem da parte di Atene rispetta gran parte del programma di Salonicco (programma elettorale di Alexis Tsipras qui per esteso) contro la catastrofe umanitaria creata dalle politiche di austerità. Nello specifico vengono previsti aiuti per le famiglie più povere, sostegno ai disoccupati, piani di riassunzione per i licenziamenti illeciti, schema pilota per l’aumento del salario minimo (decurtato dai governi Papandreu e Samaras) e parziale stop alle privatizzazioni (mercoledì Tsipras ha bloccato la privatizzazione della società elettrica). In più lotta senza quartiere alle oligarchie, alla corruzione e all’evasione, equilibrio finanziario e smantellamento dell’intreccio malsano tra media, banche e politica. Se questa è una resa ditemi dove bisogna firmare.
L’abisso tra il nuovo corso della politica greca e i vecchi piani di tagli indiscriminati al welfare e al settore pubblico (sia come patrimonio che come impiego) emerge con maggior chiarezza nel raffronto con i vecchi piani Papanderu e Samaras.
Febbraio del 2012: viene previsto un piano di salvataggio per la Grecia di 130 miliardi, previa accettazione di un piano di riforme elaborate dalla Troika. Atene viene commissariata e la maggioranza guidata dal premier Papademos vara il seguente piano di austerity: riduzione dei salari minimi del 22%, tagli di 15mila posti di lavoro nel settore pubblico, riduzione della spesa per sanità, welfare e difesa. Salario minimo da 751 a 600 euro, pensioni abbassate di un ulteriore 10%. 1,1 miliardi di tagli solo nel settore dei costi farmaceutici. Viene inoltre varato un piano di privatizzazioni di 4,5 miliardi entro fine del 2012 e di 15 miliardi entro il 2015.
Novembre 2012: dopo il ritorno alle urne a Papademos segue il premier Samaras e il suo primo piano di riforme sono 600 pagine lacrime e sangue per la Grecia nelle quali sono previsti tagli per 13,5 miliardi di euro in un paese dove la disoccupazione è al 25% e sta per chiudersi il quinto anno consecutivo di recessione. La nuova Finanziaria ellenica di medio termine (2013-2016) abolisce tutti i bonus extra per pensionati e dipendenti statali, introduce nuovi tagli sino al 25% alle pensioni e allo stesso tempo riduce sino al 27% gli stipendi per polizia, magistratura, forze armate, personale medico degli ospedali statali, docenti universitari, e diplomatici. Congiuntamente spiana la strada al licenziamento di 2.000 statali e all’abolizione della previdenza sociale fornita dallo Stato che sarà sostituita da indennità collegate al reddito.
Di provvedimenti anche solo simili nel documento di Varoufakis non c’è la minima traccia e gli unici tagli previsti sono ai costi della politica (qui la lettera per intero). Questo dovrebbe bastare a far tornare la memoria, in attesa di aprile, quando il premier e il ministro delle finanze greco dovranno presentare il vero piano dettagliato per portare il Paese fuori dall’emergenza.
Nel frattempo i sondaggi di gradimento pre e post Eurogruppo confermano una fiducia molto forte del popolo greco nei confronti del governo e di Alexis Tsipras in prima persona, assolutamente poco riportata sui media perché appunto, la velina che sembra filtrare da un invisibile Minculpop è quella di sminuire le ambizioni greche prima che possano ispirare quelle italiane.
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