In Ucraina la guerra continua, avanzano le milizie
La tregua storica, sancita dai lunghi colloqui di Minsk, è durata il tempo di una notte. In questi tempi brevi in cui la storia sembra procedere in discesa, la mattina dopo l’inizio della tregua circolavano foto di soldati del fronte opposto scambiarsi passaggi con un pallone, ma già il 16 febbraio era chiaro che gli “scontri di assestamento”, dati per fisiologici, erano il segnale che, in alcune aree, il cessate il fuoco non era mai realmente iniziato. Probabilmente, contro la volontà dei quattro capi di Stato intervenuti a Minsk, il primo dei tredici punti degli accordi resta inapplicato, per almeno due ragioni.
La prima, di ordine militare, riguarda in generale le contese territoriali in sospeso e in particolare la sacca di Debaltsevo, dove l’area intorno alla città in mano agli ucraini è accerchiata da giorni, tagliata fuori dal resto dell’esercito, dislocata in pieno territorio delle milizie. Secondo voci russe si tratterebbe di migliaia di soldati intrappolati, inclusi mercenari e soldati stranieri, mentre a Minsk, Poroshenko, aveva negato che le truppe fossero accerchiate e costrette a scegliere tra la resa e la carneficina. Allo scoccare della tregua, a Debaltsevo, non si sono arresi e le milizie hanno reclamato la città con le armi, conquistando prima gli snodi ferroviari, poi gli edifici pubblici, infine la maggior parte dell’ area urbana. Le milizie hanno dichiarato di considerare Debaltsevo parte del territorio acquisito prima della tregua, quindi incluso nel consolidato degli accordi. Il centro abitato di Debaltsevo cadeva ieri, qualche centinaio di soldati ha inaugurato le rese di massa tra gli ucraini, gli scontri ancora continuano con le truppe fedeli a Kiev rimaste. La tregua di Minsk non poteva durare senza risolvere chiaramente la questione dell’assedio.
La seconda ragione per cui l’accordo di Minsk rischiava di fallire fin dall’inizio è che Poroshenko e Putin non controllano completamente le parti in campo. Kiev controlla l’esercito ma non le bande di nazisti di cui è infarcita la Guardia Nazionale. Gli esponenti di Pravy Sektor e del battaglione Azov avevano avvertito di non sentirsi vincolati dagli accordi di Minsk: in crescente rottura con Poroshenko l’ultradestra nazifascista rischia di rivoltarsi contro il governo che l’ha usata fino ieri. A volte la Storia non torna in forma farsa, si ripete per sempre in tragedia. All’altro capo del tavolo delle trattative, Putin supporta le milizie e ha un ascendente su di esse, ma non le controlla come vorrebbero la diplomazia e i media occidentali. Questo avviene per diversi motivi: in parte perché le milizie del Donbass sono prevalentemente composte da persone del luogo e da volontari stranieri indipendenti da Mosca, in parte perché l’arcipelago dei battaglioni dell’est è piuttosto eterogeneo, i diversi comandanti godono di una certa autonomia e dopo un anno di guerra hanno i propri conti in sospeso col nemico. In aperta polemica con lo stesso Putin, più volte in passato i comandanti hanno accusato il Cremlino di non fare abbastanza, soprattutto quando lo strapotere delle armi e dell’aviazione di Kiev faceva temere il peggio per le forze ribelli ancora in via di formazione. Probabilmente è questo che è successo a Sud, vicino Mariupol, dove i ribelli e il battaglione Azov non hanno fermato le armi facendo registrare diverse vittime fin da lunedì, finché ieri i volontari nazisti non sono stati costretti ad arretrare lascando ai filorussi il villaggio di Shirokino, sulla costa meridionale. Le immagini dei filorussi che calpestano la bandiera del Reich abbandonata dai volontari in fuga sta facendo il giro del web.
Ieri Zakharchenko, Primo Ministro della Repubblica di Donetsk e già comandante del battaglione Oplot (Bastione), è stato ferito al fronte e successivamente operato a una gamba. Zakharchenko è nato a poche decine di chilometri da dove ieri ha rischiato di morire e sta vincendo una guerra: è difficile spiegare alla gente del Donbass che debba essere Mosca il primo interlocutore per le trattative che la riguardano, soprattutto dopo che la ricchezza di quella terra è bruciata per mesi sotto le bombe e 5000 civili hanno perso la vita. Il secondo punto degli accordi prevedeva la smobilitazione dalla linea del fronte degli armamenti pesanti; ieri Kiev l’ha interrotta a causa della mancata applicazione del cessate il fuoco previsto dal punto uno. Lo stesso Putin, in visita in Ungheria da Orban, che si candida a essere il suo unico alleato europeo, ha dichiarato piuttosto causticamente che era chiaro fin da Minsk come sarebbero finite le cose a Debaltsevo.
Quattro giorni dopo gli accordi nel Donbass la guerra continua e siamo oltre quel punto di non ritorno indicato da Hollande prima dei negoziati stessi. Mentre gli USA inaspriscono le sanzioni contro la Russia e Poroshenko adesso evoca la portata mondiale della crisi e le sue gravi conseguenze ben oltre il contesto ucraino, vedremo se, e come, nei prossimi giorni i confini del fronte si consolideranno, permettendo eventualmente l’ingresso degli osservatori dell’OSCE e l’attuazione dei successivi punti della roadmap. Ad oggi, l’accordo di Minsk è un pezzo di carta senza valore.
di Daniele Trovato
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