Anticorruzione: la lunga attesa del Governo dei corridori
Ce le aveva annunciate in mainstream, ve lo ricordate? Il 9 dicembre su you tube, versione Guglielmo Scilla, il Presidente del Consiglio annuncia il pacchetto di riforme anti-corruzione. Le priorità erano tre, elenco breve, conciso per parlare alla pancia del Paese indignato dall’ennesimo scandalo nel giro di tre mesi. L’Expo, il Mose, ora anche Mafia Capitale. I cittadini continuavano a ripetersi il solito refrain: “E’ tutto un magna magna” e in Calabria, in Emilia l’astensionismo l’aveva confermata nei fatti quella disaffezione, bollata dal Premier come qualcosa di poca importanza.
“Io però ho da prendere un impegno con i cittadini che è quello di fare di tutto perché finalmente in Italia, finalmente in Italia, chi ruba paghi!” diceva Renzi. Tre laconiche promesse, tre imperdibili appuntamenti attesi con trepidazione dalla stampa e dagli italiani: aumento di pena per i reati di corruzione da un minimo di sei a un massimo si 12 anni con un aumento da 3-8 anni della concussione per induzione (quella spacchettata dalla Severino in due fattispecie di reato concussione per induzione e per costrizione); patteggiamento subordinato all’ammissione del reato con restituzione del maltolto; raddoppiamento dei tempi prescrizionali per il reato di corruzione. Semplice, chiaro, fatto e finito come sempre alla maniera di Matteo Renzi, ma gli intoppi, i lavori parlamentari, le riforme costituzionali, i giochi tecnico-tattici per l’elezione del Presidente della Repubblica più che allungare la prescrizione ai corrotti hanno finito per prescrivere i provvedimenti. La scelta del Governo di agganciarle alla riforma della giustizia, senza (per una volta che requisiti di necessità e urgenza c’erano davvero) utilizzare la decretazione d’urgenza, il proliferare delle proposte di legge ridotte a fare la spola tra Camera e Senato senza coordinamenti di alcun tipo ed in ultimo la fantomatica assemblea dei gruppi parlamentari di Forza Italia (imprescindibile e spiegata come “coincidenza”) ha portato a far spuntare i funghi alle pagine della riforma. Il testo bloccato in commissione da 9 mesi dovrebbe vedere la luce in Senato il 17 novembre quando saranno finiti gli arresti domiciliari dei parlamentari impegnati giorno e notte nell’ approvazione delle riforme costituzionali, i cui lavori, come annunciato dal Premier, devono concludersi nel week end. A nulla gli appelli della magistratura, vessata sulla “questione ferie” ma ignorata sulla “questione giustizia”. A nulla l’appello del Presidente Mattarella a quello della Banca d’Italia per passare, in ultimo alla Corte dei conti la quale fa notare quanto pesino i fenomeni corruttivi sulle tasche degli italiani: “La crisi predispone un terreno favorevole a fenomeni di mala gestione di corruzione” che mette a rischio “un ritorno sui livelli di crescita soddisfacenti. “E io pago!” direbbe Totò per farla breve. Ad ogni modo, già a dicembre sul ddl anticorruzione c’erano state qualche perplessità, il solito qualche escamotage governativo, intrapreso giust’appunto alla vigilia del cenone natalizio per indorare la pillola alla fetta truffaldina dell’elettorato. La fantomatica soglia di impunità, espressa in percentuale, sul reato di falso in bilancio della serie se evadi meno o pari al 5%. Fiesta, condono erga omnes. La soglia in percentuale ha fatto sorridere in molti dato l’effetto boomerang che produce, laddove, la naturale conseguenza finisce con il premiare i maxi evasori e non l’impresa in difficoltà (più soldi evadi, più proporzionalmente hai da condonare).
Indignazione delle opposizioni. Infuocati gli interventi del M5S contro il Governo scagliati anche contro le riforme costituzionali, Danilo Toninelli sottolinea: “Queste riforme aumentano la corruzione e le tasse per gli italiani e limitano la democrazia […] Le riforme trasformano il Senato in una camera di nominati dai politici, i consiglieri regionali sappiamo come negli ultimi anni più della metà siano sotto indagine per corruzione e truffa”. Battaglia anche da Forza Italia che “scarica “ il PD per bocca di Renato Brunetta: “Faremo di tutto per rallentare le riforme”. Dello stesso avviso la Lega, Massimiliano Fedriga dichiara: “Renzi sta svendendo l’interesse del Paese […] Non riconosciamo più il Presidente del Consiglio come interlocutore”. Bizze e gazzarra in aula mentre il destino della riforma della giustizia si intreccia sempre di più con l’indignazione dell’aula contro le riforme costituzionali. In definitiva mettiamoci comodi, rispolveriamo qualche vecchio film e attendiamo lucidamente il trascorrere del tempo, perché la corruzione è un po’ come la Metro C a Roma decenni per vederne inaugurare una tratta, Pantano-Centocelle, che va in panne ancor prima di stappare la bottiglia di spumante. Rispolveriamo il dizionario, fotografiamo in testa i vocaboli: falso in bilancio, auto riciclaggio, conflitto d’interessi, immunità e codice penale, dimentichiamoli con la stessa facilità e aspettiamo il prossimo annuncio con trepidazione, così, tanto per riscoprire l’ emozione, la trepidazione, la pelle d’oca di chi è lì lì per fare il salto ma poi alla fine ci ripensa, forse per l’imbracatura, forse la paura forse perché siamo destinati a cambiare per non cambiare mai.
@FedericaGubinel