Orrore senza front(ier)ex
Ennesima strage nel mar Mediterraneo, morte oltre 300 persone, l’Europa fa l’indifferente e le organizzazioni internazionali insorgono.
Tra qualche tempo l’orrore di questa settimana verrà derubricato così in mezzo alle cronache, con due righe obiettive dove al posto di persone verrà scritto migranti, che quando muoiono fa meno impressione.
E dire che noi occidentali di muri contro gli altri esseri umani siamo abbastanza esperti, senza scomodare Berlino e la storia, bastano Gerusalemme e il confine tra Messico e Stati Uniti, attraverso il quale, non si capisce come, riescono a passare solo i narcotrafficanti. Eppure questa volta abbiamo capito come farne a meno.
Ci sono già altissime mura nel mar Mediterraneo, e non occorrono sentinelle armate per freddare chi si avvicina, bastano le onde a ripulire i nostri confini. Quindi si è scoperto che non c’è bisogno di barriere di cemento, basta guardare con indifferenza coloro che fuggono dall’inferno, e affogano prima di raggiungere la mano che facciamo finta di tendere.
Di fronte a questa ennesima e iper-annunciata tragedia l’unico atteggiamento possibile da tenere sarebbe il silenzio, nemmeno per lo sdegno, ma perché tale è l’assurdo che ogni parola appare priva di senso, fastidiosa e ipocrita al tempo stesso. Tuttavia bisogna che se ne parli, e allora si cerca rifugio nelle cronache dei fatti, che se non mondano la coscienza quantomeno speriamo che ne possano sopire il senso di vergogna.
Dunque tutti parliamo a sproposito di quelle ventinove persone (mai qui si scriverà migranti) che il nove febbraio hanno perso la vita dopo, e qui la vergogna si arrampica attraverso le viscere, essere state soccorse dalle imbarcazioni della Guardia Costiera. Trenta anime perdute per inadeguatezza dei mezzi, soccorse con motovedette e gommoni nel mare in tempesta e sferzato dal gelo.
Il dieci febbraio lo sdegno riempie le pagine dei giornali, la sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, sa la parte a memoria per quante volte l’ha già ripetuta, e tutti guardano in cagnesco il responsabile di questa tragedia: l’operazione Triton, messa in piedi dall’Agenzia europea Frontex, che ha sostituito l’italiana Mare Nostrum dall’ottobre del 2014. Con una sottile e perversa differenza: il confine di azione è limitato a 30 miglia marine dalle nostre coste. Quindi mentre prima le navi della Marina Militare che operavano con Mare Nostrum gravitavano a ridosso delle coste africane e potevano intervenire tempestivamente, adesso i mezzi di soccorso rischiano di dover percorrere più di cento miglia magari con il mare forza sei, come in questo caso, per raggiungere l’emergenza: con la certezza pressoché assoluta di arrivare in ritardo.
Il senso della denuncia di Giusi Nicolini e di Carlotta Sami, responsabile in Italia dell’UNHCR, è il medesimo: siamo tornati alla situazione precedente all’ottobre del 2013 (quando al largo di Lampedusa morirono 366 persone).
Ma la bomba doveva ancora esplodere: tra il dieci e l’undici febbraio la testimonianza di nove sopravvissuti trovati su altri due gommoni (da una nave mercantile) scoperchia il vaso di Pandora, oltre al gommone soccorso dalla guardia costiera quella sera dalla Libia, con i mitra puntati addosso, ne sono partiti altri tre. Uno è stato inghiottito dal mare e sugli altri due sono state trovate complessivamente nove persone. Qui per qualche attimo le menti si sono rifiutate di fare i conti: considerato che su ogni gommone viaggiavano più di cento persone, per difetto ci sono almeno 330 morti. Per i quali parlare di fatalità sarebbe osceno.
Ma di più, qualcuno azzarda a giustificare l’ecatombe con la legittimità giurisdizionale posta dai limiti dell’operazione Triton, appunto a 30 miglia oltre le quali non si può andare, dimenticandosi che quando entra in gioco la legittimità umana non dovrebbe esserci giurisdizione che tiene.
E qui la coscienza dovrebbe rifiutarsi di parlare, perché viene posta davanti a un assurdo che non può risolvere: lasciar morire senza muovere un dito che differenza ha, in fondo, con il dare la morte?
A questo punto Triton viene giudicata per quello che è: un’operazione di polizia di frontiera istituita senza la minima intenzione di salvare vite umane nel momento e in un territorio in cui siamo in piena emergenza umanitaria.
E qui il giudizio della coscienza se non altro può dividersi tra quelli, non so fino a che punto degni di vivere, che ancora oggi ribadiscono la necessità di Triton – e della diminuzione della spesa per interventi di questo tipo – rispetto a Mare Nostrum che “attraeva” persone in fuga (dato smentito dall’aumento degli sbarchi nonostante la fine di Mare Nostrum), e quelli che invocano azioni drastiche di aiuto, come i corridoi umanitari permanenti, e sono state decine le associazioni e le organizzazioni internazionali che hanno subito fatto pressione in Europa perché ciò avvenga.
Ai primi sfugge però un dettaglio sul quale, nonostante l’assurdo, non si può soprassedere, perché altrimenti rischiamo di non capirci, e in casi come questo è bene capire di cosa stiamo parlando, visto che ne dobbiamo parlare: queste persone non vanno in villeggiatura. Queste vite umane che noi ci stiamo rifiutando di soccorrere scappano dall’inferno in terra che NOI, in buona parte, abbiamo contribuito a creare. E le bestie che parlano ancora in questi termini senza vedere ciò che è manifesto, e cioè che queste persone affrontano la certezza del suicidio pur di scappare da questi inferni, e che a nulla valgono le limitazioni poste dalle nostre leggi, dalla nostra indifferenza e dalla forza devastante delle onde quando scappi dalla morte, non dovrebbero avere diritto di parola. Perché non si rendono conto, di che cosa vuol dire, fuggire dall’inferno, non lo conoscono, non sanno di che cosa si parla.
Non hanno la minima idea di cosa significhi abbandonare tutto, se ancora di qualcosa si dispone, e rincorrere quella minima speranza di sopravvivere che è rappresentata dal Mar Mediterraneo. Né conoscono il valore della vita umana.
Esatto signori, rispondete a questo: quanto vale la vita di un neGro per voi? Perché io sono sicuro che se su quei gommoni la pelle fosse stata bianca non staremmo parlando di questi morti.