Negoziati di Minsk: la guerra alle porte

Si combatte Debaltsevo, si combatte più a nord a Kramatorsk, dodici morti soltanto ieri, si combatte a un passo dalle coste del Mar Nero a Mariupol, continuano i bombardamenti su Donetsk e Lughansk. Sia i generali di Kiev che i comandanti delle milizie sanno bene che l’attuale crisi diplomatica e l’intensificarsi dei colloqui negoziali tra le grandi potenze prelude una nuova tregua o una nuova escalation: l’obbiettivo è arrivarci avendo conquistato più posizioni possibile. L’attesa per gli esiti del vertice di Minsk si trasmette sul campo accelerando gli eventi, durante una crisi umanitaria, su territori che sanguinano dalla scorsa primavera dove, secondo le stime ufficiali, si contano oltre 5mila morti. Nell’Est dell’Ucraina quasi un milione e mezzo di persone, tra profughi interni ed esuli verso la Russia, hanno dovuto abbandonare la propria casa. Due giorni fa il Frankfurter Alggemeine Zeitung, citando fonti dell’intelligence tedesca, riportava un possibile conteggio reale di 50mila vittime. Se si rivelasse vero vorrebbe dire che in meno di un anno la guerra ucraina ha già fatto la metà delle vittime di quante se ne contarono in Jugoslavia alla fine del periodo 1992-1995.

In settimana la Merkel e Hollande sono volati a Mosca. L’Europa sono loro, non Junker e la Mogherini che nessuno ha interesse a incontrare perché non possono parlare a nome dei ventotto paesi di un’Unione che non è tale. Anche qui, come in materia economica l’Europa è divisa almeno in due: in questo caso la “Nuova Europa” slava e baltica, con orientamento dei governi e spesso diffusi sentimenti nazionali anti-russi, e la “Vecchia Europa” dei Paesi fondatori che si sono allineati alla rottura con Mosca, ma dalla quale non hanno mai avuto molto da guadagnare. Dopo quattro ore di colloqui con Putin, Hollande è stato sibillino: “Se fallisce questo negoziato di pace, non resta che la guerra”. A meno che non si riferisca al conflitto già in corso da più di un anno, soltanto formalmente locale, e, per autocertificazione delle parti, combattuto soltanto tra esercito di Kiev e NAF, Hollande sembra voler alludere a un’escalation internazionale conclamata. L’interpretazione del Presidente francese è coerente coi fatti: alla minaccia reiterata del Governo Obama di armare gli Ucraini per circa 3 miliardi di dollari in due anni, portavoce ufficiali del Cremlino hanno confermato che questa mossa innescherà un’escalation. Preoccupata anche la cancelliera Merkel: “Non c’è nessuna via militare alla soluzione del conflitto”, cui si allinea la Mogherini, Lady PESC (per i cronisti più attenti agli inutili nomignoli): “Non ci sono alternative alla via diplomatica”. Gentiloni, contrario anche lui a ogni soluzione militare, ha continuato a ripetere che il buon esito dei negoziati dipende soltanto da Putin, atteggiamento che contribuisce a spiegare a posteriori come mai a quei tavoli Gentiloni non sia presente. Infine, il Ministro degli esteri spagnolo Garcia-Margallo, ha dichiarato che la Spagna è contraria alla fornitura di armi agli ucraini.

Voci di fonte russa, non confermate, sostengono che nella sacca di Debaltsevo, oltre a migliaia di soldati ucraini, siano intrappolati anche centinaia di militari NATO, forse francesi; qualcun altro sostiene svedesi o di altre nazionalità europee. La voce è stata messa in relazione con i recenti viaggi diplomatici franco-tedeschi e, se non si raggiunge subito una tregua, ci sarà presto opportunità per confutarle o meno.

Putin non dispone di molti fili per tessere la propria tela di relazioni ma tenta di usarli tutti: trova il dialogo con gli euro-delusi, come Grecia e Cipro (che gli concederà una base sull’isola), e le élite laico-militari dei Paesi arabi, spodestate dalle primavere arabe, come in Egitto. Questa settimana Al Sisi ha stretto accordi con Putin sul nucleare civile, investimenti industriali e zone di libero scambio, con possibile futura adesione di un Paese arabo all’Unione Economica Euroasiatica. L’Egitto diventa così un potenziale alleato di Assad e dell’Iran (che ha di recente commissionato ai russi altre otto centrali nucleari) grazie ai comuni rapporti con la Russia; ne potrebbe nascere un nuovo fronte ostile al fondamentalismo sunnita in grado di avere un qualche peso sul Medio Oriente. Sull’Ucraina il Cremlino gioca sul tempo, attende la bancarotta di Kiev che ha chiesto 40 miliardi di dollari al FMI, dopo i 17 erogati l’anno scorso e usati in gran parte per finanziare la carneficina nell’est.

Oggi Poroshenko, Merkel, Hollande e Putin si incontreranno a Minsk, in un clima mediatico da “ultima spiaggia”, sotto gli occhi di un’opinione pubblica occidentale  arrivata impreparata a questo punto di snodo. La disinformazione in questi mesi è stata sistematica e consapevole: quegli stessi cittadini europei che ieri non meritavano di essere informati oggi guardano ai negoziati di Minsk con preoccupazione, cominciano a sentirsi spaventati senza comprendere bene come si sia potuto giungere a questo punto. La storia della Guerra Civile Ucraina, una guerra europea, dovrà essere raccontata da capo per poter comprendere come sia stata accesa una miccia che brucia verso un arsenale e, non di meno, per capire chi, un anno fa, a Majdan avesse in mano l’accendino.

 

Daniele Trovato

Twitter: @aramcheck76

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