Selma: la strada per la libertà e la profondità della Storia

I grandi eventi della Storia conferiscono agli uomini che hanno contribuito a determinarli un’aura d’immortalità. Tuttavia l’inevitabile processo di mitizzazione che ne consegue sancisce molto spesso una straniante irraggiungibilità. Nella volontà di celebrarli li tramutiamo in statue o icone privandoli della loro umanità. Selma – la strada per la libertà, il film di Ava DuVernay che uscirà nelle sale il 14 febbraio elude con delicatezza e maestria questo pericolo facendoci rivivere attraverso l’intimità dei personaggi uno dei momenti storici più significativi per la storia politica e sociale degli Stati Uniti: la marcia di migliaia di afroamericani che ha portato il presidente Lyndon Johnson a firmare lo storico Voting Rights Act del 1965.

Fino ad oggi non si era ancora vista un’opera cinematografica che fosse interamente incentrata sulla figura di Martin Luther King e la DuVernay, dopo che è esattamente trascorso mezzo secolo dalla sua morte, Selma colma questa imperdonabile lacuna. La storia del Dr. King è il fulcro del film; un centro però da cui si dipartono i raggi che hanno permesso alla ruota di girare e raggiungere la destinazione desiderata: parliamo delle persone che hanno reso possibile i suoi tre mesi in questa comunità dell’Alabama, certo quelli più importanti e rischiosi della sua vita.

Il film è uno straordinario racconto che dà modo di comprendere come l’innegabile carisma del pastore di Atlanta sarebbe stato nullo senza il prezioso ausilio della gente che lo aiutò nell’impresa.
Sono passati due anni dal memorabile discorso “I Have a Dream” tragicamente preceduto dall’assassinio di quattro innocenti fanciulle in una chiesa di Birmingham fatta esplodere da una bomba in un atto di terrorismo che rivendicava la supremazia bianca; pochi mesi dal giorno in cui King è stato insignito del premio Nobel per la pace e dalla nomina da parte del Time Magazine di Uomo dell’Anno. Nel 1965 è ormai una delle voci più influenti della nazione per la battaglia non violenta contro il razzismo. La sua attenzione insieme a quella della Southern Christian Leadership Conference si appunta sulla scarsa percentuale (appena il 2%), a Selma, di cittadini neri registrati per votare.

Sebbene il diritto di voto fosse stato concesso agli afroamericani maschi nel 1870 con l’approvazione del 15esimo emendamento, di fatto, questo stesso diritto era stato negli anni successivi sistematicamente ostacolato in moltissimi luoghi del Paese. Ovunque nello stato i cittadini di colore che richiedevano la registrazione per il voto erano bloccati dagli uffici civili i quali sottoponevano i richiedenti a test civici e di letteratura, zeppi di domande difficili e astruse, appositamente pensate per far fallire la richiesta.
King opera tra gli indugi di un Presidente sempre più oberato da numerosi problemi che assillano l’America come la guerra in Vietnam, l’ostile e ottuso atteggiamento del governatore dell’Alalabama Wallace e la brutalità dello sceriffo della città. Nella primavera del 1965 l’alternativa al dialogo-trattativa con le istituzioni si concretizza nel triplice tentativo di portare a conclusione la marcia pacifica da Selma a Montgomery con il sacrosanto obbiettivo di ottenere l’agognato diritto al voto. Gli accadimenti drammatici di cui è colma l’intera vicenda mutarono per sempre «la rotta del popolo americano e il concetto moderno di diritti civili».

Un strepitoso Oyelowo nei panni del pastore King fugando ogni insipida emulazione ci restituisce l’ardore che lo animò durante il lungo cammino verso la libertà; le incertezze generate dai momenti di stanchezza in seguito all’arresto; la paura che lo invade quando scorge quella «nebbia fitta» che occlude il suo sguardo e incombe come una falce sulla sua vita e quella dei suoi cari.
La pellicola si avvale di una grande sceneggiatura dalla «caleidoscopica visione» capace di penetrare in tutti gli strati della società, dalla Presidenza alle casalinghe di Selma, mostrando come tutto sia intimamente correlato. Altro enorme pregio del film è quello rivelare quanto fondamentale sia stato il ruolo delle donne all’interno del movimento per i diritti civili. Annie Lee Cooper (Oprah Winfrey) che si oppose ai soprusi dello sceriffo assestandogli con coraggio uno schiaffo che lo fece cadere a terra; Amelia Boynton brutalmente picchiata dopo la prima marcia della “Bloody Sunday” e l’indimenticabile Coretta King (Carmen Ejogo) fino alla fine al fianco di suo marito, diventata peraltro dopo la prematura morte di quest’ultimo un’illustre attivista.

Nella coralità di questo affresco si assapora l’importanza di ogni figura; grazie al saggio «realismo misurato» della DuVernay lo spettatore può cogliere la dinamica essenziale delle relazioni e degli stati d’animo che intessono gli eventi. Il ritratto che ne esce del Dr. King è quello di un re più umano, con la sua fragilità, i suoi dubbi, simili a quelli vissuti dai suoi collaboratori e che albergano nel cuore di ognuno. In fondo il film non esalta il portento dei suoi risultati ma la profonda grandezza di non essersi sottratto a ciò che il destino gli aveva chiesto.

King e Coretta