Syriza, l’occasione dei popoli

La vittoria di Syriza e di Alexis Tsipras in Grecia è una di quelle cose in grado di segnare la storia. Uno dei momenti in cui ci si accorge del suo passare, rallentando abbastanza da farti montare su e partecipare al cambiamento delle cose che sono.

Così, da personaggio volutamente marginale e semisconosciuto del panorama politico e giornalistico europeo, Alexis Tsipras e la sua rivoluzione hanno adesso tutti i riflettori puntati. Alcuni sono preoccupati, altri si affrettano a diventare amiconi, e altri ancora sanno di trovarsi davanti a un momento decisivo.

Sono quelli che non sono arrivati alla venticinquesima ora, quelli che c’erano prima, e che già allora comunque erano in ritardo. Perché sarebbe stato il caso di fare le brigate Kalimere quando la Grecia veniva messa in ginocchio e portata al patibolo col benestare implicito di tutti i governi, quando il suo popolo veniva spinto inerme sull’orlo del precipizio e nessuno ha fatto niente.

Ma i Greci hanno venduto cara la pelle, sono scivolati senza sfracellarsi, si sono fatti forza, hanno subito i diktat della troika ma hanno resistito, hanno avuto la prima vera resistenza internazionale dopo il nazismo, e hanno vinto pure questa. Che era ancora più difficile, perché attaccava i singoli nel loro privato, quando ci si trova più sperduti e sfibrati. Eppure, sebbene logorati, i Greci non ne hanno voluto sapere di soccombere e allora hanno alzato la testa.

Syriza si è mossa la dove noi in Italia non pensiamo nemmeno di doverci muovere, nel sociale quello vero, con mutualismo e umiltà. Ha riacceso le speranze del popolo senza promettere sogni, ma sventure; senza soluzioni divinatorie e ipocrite, ma annunciando battaglia, mostrando un percorso tutto in salita che però ha permesso di serrare le fila e di riscattare l’orgoglio, che se deve finire almeno facciamola finire noi.

È in questo modo che i Greci sono diventati il cavallo di Troia dell’Europa, di quelli che da decenni si arrovellano sui se, i come, i perché oppure in che modo. Adesso tutti guardano ad Atene, e ad Atene, per nostra fortuna, vivono persone intelligenti, che all’alba della loro vittoria sono ben consapevoli della responsabilità che hanno di fronte, e gridano una cosa sola: uniti, popoli d’Europa, non lasciateci combattere da soli!

E allora lacrime agli occhi, cuore in gola e mano alle lance dei nostri sentimenti più puri che in Grecia trovano finalmente un volto e uno sfogo: che qui si combatte la battaglia dell’umanità e siamo obbligati dalla storia a farci più vicini, a unirci alla falange che dalla Grecia è partita, scudo a scudo, per difendere il compagno che abbiamo vicino e avanzare uniti, e forti della nostra unità che grida giustizia.

Oggi dalla Grecia non parte un governo, ma si scatena l’urlo dei miserabili e degli oppressi, che trapassa pure le orecchie dei sordi! Ad Atene c’eravamo tutti: italiani, spagnoli, tedeschi, francesi e uomini da tutte le parti del mondo; e contestualmente i militanti di Syriza da tempo vanno in giro per l’Europa a portare il vento che soffia da là, a scapito di salute e sanità mentale: perché a parlare con la sinistra italiana si va in esaurimento dei nervi.

Oggi tutti siamo chiamati a capire quale sia il modo di affiancarsi ai Greci grimaldello d’ Europa, dando linfa vitale e nuove energie a quel cammino tanto antico quanto attuale che è quello dell’uomo verso la vera umanità.

Adesso, come scriveva Altiero Spinelli nel lontano 1943, la linea di divisione tra partiti progressisti e partiti reazionari cade non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere politico nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.

Che oggi si chiama Europa dei Popoli e parte, ancora una volta, da Atene.

@aurelio_lentini