Francesco e i burattini ovvero l’arte di essere se stessi
Chi è stato davvero Francesco d’Assisi? Quale la vera vita di quest’uomo che conosciamo tutti come il grande giullare di Dio? L’opera teatrale Francesco e i burattini scritto e diretto da Igor Sibaldi che è andato in scena ieri sera a Roma, presso l’associazione Harmonia Mundi, ha illustrato la sua vocazione allo spettacolo. Potrebbe sembrare un riduzione blasfema di questa figura così importante nella storia dell’occidente e non solo; un modo per spiegare qualcosa di tanto complesso attraverso il ricorso ad un ambito abitato oggi molto spesso da persone che mostrano il peggio dell’essere umano ignari dell’indecenza e della insulsaggini da cui sono mossi. Eppure il testo non sminuisce la portata rivoluzionaria di Francesco ma la riporta in quel vasto palcoscenico dell’esistenza dove, diversamente dalle persone-burattini che incontrava, era consapevole del ruolo che incarnava.
Spettacolo come teatro portano nel loro intimo significato il verbo vedere; il primo ha più specificatamente a che fare con la capacità di attrarre lo sguardo, il secondo di circoscrivere il luogo in cui questo accade. Parole cantate o urlate, gesti altisonanti hanno accompagnato le sue esperienze; l’intero suo viaggio su questa terra può essere considerato come una meravigliosa e dolorosa recita di cui è stato attore e regista.
La scenografia è scarna; sul palco campeggia modesto un telo di iuta sopra cui si avvicendano gli uomini-burattini con cui Francesco ha avuto modo di confrontarsi e dove vengono affissi come sentenze frasi del Vangelo e del “santo”. Tutti sono sorpresi dalla sua autenticità; tutti però protesi ad osteggiarla perché timorosi degli incontrollabili effetti che potrebbe scatenare. Dal padre che si infuria quando lo vede rinunciare alle sue stoffe e alla sua ricchezza fino al papa che lo schernisce quando se lo trova di fronte vestito della sua umiltà. Solo il sultano ne riconosce la magnanimità e dopo averlo paragonato a Shiva (divinità ribelle del pantheon indiano) lo invita a proseguire il suo peregrinare in India dove di certo avrebbero innalzato dei templi per celebrare quella grandezza che in patria non solo avevano misconosciuto ma che gli era stata causa di molti problemi.
Il pianoforte suonato dal maestro Mauro Marenghi, con alcune musiche che vanno dal repertorio trobadorico a Bach fino a Papaveri e Papere, completa il testo e la rimarchevole performance dei due attori: Silvia Pernarella che interpreta Chiara innamorata di Francesco e votata senza indugi a seguirne i precetti e Roberto Brancati che riveste i panni di un perfido frate il quale prova con le sue subdole riflessioni a rimettere in discussione il lascito dell’assisiate.
Commuove la “dolcezza mortale” della melodia che descrive il rientro a casa di Francesco sottolineando in maniera struggente il principio della sua fine.
Alla rappresentazione teatrale ha fatto seguito l’affascinante conferenza tenuta dallo stesso Igor Sibaldi che con singolari capacità affabulatorie ha ricostruito, uscendo dall’agiografia, l’impatto che aveva avuto il modo francescano di intendere il cristianesimo e le grandi aperture che avrebbe potuto generare invitando il pubblico a riconsiderare le possibilità irrealizzate della storia non come inutili se ma come una eredità da vivificare. Sebbene sconfitto dai suoi avversari Francesco ne mette in luce l’inerzia e la prigionia della loro volontà. Citando Schiller Sibaldi ci ricorda che «l’uomo é uomo solo quando sa di recitare»; in fondo tutti i giorni siamo chiamati a ricoprire ruoli diversi ed é nostro dovere agire nella consapevolezza della nostre azioni senza lasciarci condizionare dal desiderio di compiacere il nostro pubblico. Scevri dal giudizio che incombe sopra ogni nostra scelta: come Francesco cercare di liberarsi dai demoni che ostacolano i nostri nobili propositi e la nostra volontà di cambiamento.