A 28 anni, da laureato a clochard

Andrea è un ragazzo di 28 anni. Purtroppo, però, a causa della società in cui vive si è ritrovato con una vita completamente stravolta. Se un po’ di anni fa una storia del genere sarebbe sembrata “pura fantasia” ai più scettici, ebbene oggi è la dura realtà. La colpa, ovviamente, è di una società senza limiti che ha fagocitato in sé l’essenza di ogni persona, privandola di quello che dovrebbe essere un diritto sacrosanto, ovvero, il lavoro. Andrea a 28 anni si ritrova da laureato ed impiegato a condurre la sua esistenza per la strada, come un comune clochard. Karl Marx parlava di “alienazione”; ebbene si, senza un lavoro ci si sente alienati, non utili, facenti parte di un universo che non ci appartiene. Mentre mille persone al mattino si svegliano e la città sembra un grande formicaio, dove si fa a gara a chi va più di fretta, chi è senza lavoro, ad oggi la maggior parte della popolazione, vive le sue giornate in lentezza, faticando nella ricerca di qualche lavoro effimero che però serve sempre per andare avanti, ma non riguarda magari ciò per cui abbiamo studiato. E tutti un giorno o l’altro potremmo essere Andrea, che all’improvviso si ritrova con se stesso, la sua solitudine, la sua povertà…e anche la sua “inettitudine”.

Siamo a Milano, è il 2015, Andrea ha 28 anni ed è un clochard, o meglio un senzatetto, un homeless, e ci sarebbero mille modi per descriverlo, ma letteralmente un ragazzo senza dimora, ecco. Possiede una laurea in Giurisprudenza, un diploma al Conservatorio e un passaporto che vale mezzo giro del mondo: viaggi di lavoro in tutta l’Asia, quel lavoro che non ha più, quel lavoro che lo ha ridotto a dormire sotto i portici di piazza San Babila. Ora lasciando da parte l’amarezza che provo, immedesimandomi in questo ragazzo, mi vergogno di appartenere ad una società che permette questo, che meritocrazia o no fa si che gli sforzi e la fatica e l’impegno di una persona, vengano letteralmente dissolti al primo licenziamento. È orfano di madre, persa a 6 anni e di padre, e non ha parenti. Ha sempre avuto «pochi amici» perché gli è mancato il tempo: appena diventato maggiorenne ha affiancato il lavoro agli studi, cosa che moltissimi ragazzi fanno e nonostante ciò, non riescono comunque a garantirsi un futuro duraturo e migliore. Andrea dice di volersela cavare da solo, opzione che viene scelta da molti coetanei, che vogliono sentirsi vivi anche semplicemente nel fatto di non chiedere niente a nessuno, e di cercare di andare avanti soltanto con le proprie forze. Sembrerebbe un ragazzo come tanti, vestito in ordine, cappotto grigio, una borsa ventiquattrore, delle cuffie alle orecchie, il viso pulito, la barba fatta e i capelli in ordine: chi non conosce la sua storia, potrebbe pensare ad un ragazzo che esce dal suo ufficio a fine giornata; invece Andrea esce dalla mensa, dove ha appena consumato il suo pasto e vorrebbe tornare in ufficio, ma non ne ha più uno.

clochard

Racconta Andrea: «Mi sono laureato nel 2009 alla Statale di Milano. Un anno dopo mi sono diplomato al Conservatorio, suono il trombone. Il lavoro è sempre stata una dimensione parallela a quella degli studi: ho iniziato a 20 anni in una società che produce cartucce filtranti per altre aziende, mi occupavo di contabilità: impiegato amministrativo contabile». La sua borsa nasconde il suo peggior segreto, dentro ha: «un maglione pesante, una camicia e una maglietta», niente che abbia a che fare con la contabilità. «Ho lavorato nella società di filtri per un anno e mezzo poi ho provato a fare il salto di qualità, sono stato assunto da una multinazionale che mi ha affidato tutto il ciclo della contabilità». Come molte società la multinazionale è fallita e Andrea così, senza preavvisi, senza avvisi, senza niente insomma, si ritrova senza un lavoro: «Dalla sera alla mattina, senza preavviso. È ancora tutto nelle mani del curatore fallimentare, non so se avrò mai una liquidazione».

Non può mantenere l’affitto della casa senza uno stipendio ovviamente, e il passo nella povertà è davvero breve. Poco tempo dopo, senza demoralizzarsi, Andrea ha trovato lavoro in un bar come cameriere, ma anche lì il lavoro è finito. Racconta Andrea: «Vivo in strada da maggio 2014. L’aspetto più incredibile è che in strada riscopri gli istinti più primitivi: il primo pensiero è mangiare, poi coprirsi e dormire. Non in dormitorio, però. Lì non mi sento sicuro». Da qui la scelta di piazza San Babila. Per i pasti e la doccia c’è, invece, l’Opera San Francesco: «Sono eccellenti». Quindi le biblioteche, al pomeriggio, «per leggere e per inviare curriculum via internet». «Nelle agenzie interinali mi dicono che ho troppe qualifiche per i mestieri che girano». Andrea vuole fare il suo lavoro, è un suo diritto, non deve esistere né per lui, né per altre migliaia di giovani la condizione di alienazione e disagio che ha condotto la società in cui viviamo.