La strage di Parigi vista dalla destra
Ormai non si parla d’altro: lo scorso 7 gennaio il ritorno al tam-tam quotidiano del post vacanze natalizie è stato più duro del previsto. Due fratelli jihadisti, Cherif e Said Kouachi, hanno assaltato la sede di Charlie Hebdo, il giornale satirico francese che aveva preso di mira Maometto e l’Islam in generale, uccidendo 12 persone. Ma non è finita qui: la mattina del giorno seguente, si è verificata un’ulteriore sparatoria a Nord-Est di Parigi. Protagonisti gli stessi due fratelli Kouachi, che si sono barricati nell’agenzia di consulenza pubblicitaria Creation Tendance Decouverte di Dammartin en Goele, situata in Rue Clement, ferendo 20 persone e utilizzando una dipendente dell’agenzia stessa come ostaggio. Alla fine però i terroristi colpevoli della strage di Charlie Hebdo hanno visto la morte, freddati dalle forze di polizia francesi durante il blitz all’agenzia.
Un evento drammatico ma, di certo, non inaspettato. Il terrorismo oggi non è solo una paura, è una realtà, che viene costantemente ribadita tramite questo genere di attacchi. In ogni modo, nella maggior parte dei casi, dolore e sconforto vengono presto soppiantati da “fibrillazione politica”: un grande fiume in piena in cui ognuno sa cosa fare, come farlo e con chi farlo, ma che spesso e volentieri si concretizza in immobilismo e contrasti interni a vai Paesi, membri e non dell’Ue. In particolare, l’attentato verificatosi a Parigi, ha nuovamente portato alla ribalta tematiche particolarmente care alla destra, ma non solo: immigrazione, religione e libertà di espressione.
«Non si sono accorti che si stava preparando un attento contro Charlie Hebdo. Un attentato altamente professionale», ha dichiarato Marine Le Pen. Come di consueto, la leader del Front National non si trattiene: «Bisogna dire basta all’ipocrisia e chiamare le cose con il loro nome: è una strage perpetrata dall’integralismo islamico». Tuttavia, la stessa Le Pen esorta a lasciare da parte ogni paura: «Trovate il coraggio di dire ciò che è successo, non abbiate paura di dirlo». Secondo la figlia di Jean Marie Le Pen, il vero interrogativo riguarda il come si sia potuti arrivare a questo punto, permettendo all’Islam di finanziarsi e conquistare canali interni alla stessa Francia. Nessuna affermazione sconvolgente e, anzi, perfettamente coerente con la linea politica della leader del Front National, se non fosse stato per il tweet pubblicato intorno alle otto del giorno successivo all’attentato: «Voglio offrire ai francesi un referendum sulla pena di morte. A titolo personale, penso che debba esistere questa possibilità». Insomma, una vera e propria “dichiarazione di guerra».
Anche Nicolas Sarkozy è consapevole che la Francia è stata coinvolta in una “guerra totale”: «Il governo dovrà assumere misure dure contro il terrorismo e l’Ump sosterrà tutte le iniziative dell’esecutivo che andranno in quella direzione».
Thibauld de Montbrial, avvocato specializzato in terrorismo , ha affermato: «I nostri servizi sono molto efficaci, ma la direzione generale della sicurezza interna non ha un numero di funzionari estensibile all’infinito».
Domenica 11 gennaio è prevista, a Pargi, la “marcia repubblicana” contro il terrorismo e, lo stesso giorno, i ministri dell’Interno europei maggiormente interessati al fenomeno dei foreign fighter, parteciperanno a un vertice al quale sarà presente anche l’Attorney General americano, Eric Holder, poiché gli Usa hanno dato un contributo fondamentale.
Salvini contro i buonismi: nessuna islamofobia. Anche secondo Matteo Salvini, la strage avvenuta comporta una vera e propria guerra nei confronti dell’Islam, descritta come «una comunità prepotente e ben organizzata, che ha la facilità di affondare il coltello in un burro che è l’Occidente»: una metafora dura, ma mai così azzeccata. Il leader della Lega arriva, addirittura, ad accusare Papa Francesco di non fare un “buon servizio”, predicando ai propri fedeli la tolleranza: «Va bene la pace, ma sei il portavoce dei cattolici, preoccupati di chi ti sta sterminando in giro per il mondo”. Il cardinale Angelo Bagnasco, da parte sua, ha sollecitato in un’intervista: «Il mondo islamico moderato, quello vero, deve prendere le distanze in modo netto da questo atto». Salvini, ad “Agorà”, ha sottolineato che, sicuramente, non tutti gli immigrati sono dei delinquenti, «ma se apri le porte del tuo Paese a centomila fantasmi puoi solo farti il segno della croce». Non si tratterebbe di “islamofobia”, di cui è facile essere tacciati, ma di un vero e proprio problema culturale. Sulla stessa linea politica anche Daniela Santanché, la quale ritiene che, nel nostro Paese, si debba porre fine a «un atteggiamento buonista e di solidarietà furbetta che tende a sottovalutare un problema che ogni giorno diventa più esplosivo”. E ancora: «Io non credo più all’islam moderato. Sono pronta a cambiare idea quando vedrò che i “moderati” ci metteranno la faccia e combatteranno insieme a noi per i valori della libertà. Oggi è peggio dell’11 settembre, perché hanno ucciso le opinioni». Ha commentato l’accaduto anche Silvio Berlusconi, il quale ha voluto rimarcare come nessuno possa ritenersi salvo da questa “ideologia del terrore” poiché, chi compie tale genere di atti, non ha nessun rispetto delle libertà politiche e religiose di coloro che appartengono a una cerchia distinta.
L’Italia è vicina alla Francia. Il sottosegretario con delega all’intelligence, Marco Minniti, ha più volte ribadito che, per combattere il terrorismo, in primis, è necessario monitorare costantemente i sospettati, in modo che, se questi tentassero di presentarsi alla frontiera dell’Unione, verrebbero immediatamente intercettati. I musulmani in Italia sono un milione e 700 mila: il 30% della popolazione straniera. Sono 800 i luoghi di culto a rischio atti di terrorismo, ma il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, rassicura: «Voglio chiarire che, sia moschee che altri luoghi, non vengono trascurati nelle analisi di intelligence investigativa». Inoltre il responsabile del Viminale tiene a sottolineare che «Non abbiamo in questo preciso momento segnali che indichino l’Italia o gli interessi italiani come esposti a specifiche e attuali forme di rischio». Tuttavia, anche l’Italia è toccata dalla problematica dei “foreign fighters”, sebbene con numeri esigui: a oggi, 53 persone trasferitesi in zone di conflitto hanno avuto rapporti con il suolo italiano e solo 4 di nazionalità italiana. Alfano ha ribadito: «La chiave per il successo continuerà a essere un coordinamento a livello europeo. Un’Europa unita è un’ Europa più forte perché circolano le informazioni e insieme ci si protegge meglio». L’intenzione del governo italiano è quella di presentare al più presto alle Camere un pacchetto per restringere le capacità di movimento degli aspiranti combattenti tramite ritiro del passaporto e sorveglianza.