Cina, storica sentenza: l’omosessualità non è una malattia
Gli omosessuali non sono malati. Con buona pace di chi continua a sostenere che i gay possono essere “guariti”, anche dalla Cina arriva un segnale storico: prima di Natale, infatti, la corte di Haidian ha condannato una clinica a risarcire un uomo che era stato sottoposto a terapie riparative. Il motivo è semplice: l’omosessualità non può essere considerata una malattia mentale e, pertanto, non può essere curata.
Ipnosi, elettroshock, tecniche pavloviane: l’orrore delle terapie per la conversione dei gay ha preso forma nel racconto di Yang Teng, giovane omosessuale cinese. Questi infatti ha portato in tribunale la clinica colpevole di aver sottoposto il giovane a trattamenti – leggi torture – che lo hanno danneggiato sia sul piano fisico che su quello mentale. Trattamenti che la clinica, secondo la corte, non aveva alcuna legittimità per effettuare, visto che in Yang non c’è nulla da curare.
L’indennizzo è irrisorio, 3500 yuan (circa 460 euro), ma profondamente simbolico: in quei quattro soldi c’è la vittoria non solo di un uomo ma di tutta la comunità omosessuale di un Paese in cui gay ancora sono discriminati a livello politico, giuridico e, soprattutto, sociale.
A spingere Yang verso la terapia, infatti, – come accade nella maggior parte dei casi – era stata la famiglia che, scoperta la sua “diversità”, cercò di riportarlo sulla retta via. Sono bastate alcune ricerche su “come curare l’omosessualità” su Baidu – il motore di ricerca cinese che ha sostituito Google – per scovare la soluzione: la clinica Jinyu Piaoxiang di Chongqing.
La strada è lunga, eppur qualcosa si muove: la vittoria di Yang è solo un primo passo, ma dimostra che le cose possono cambiare. Sull’onda della sentenza, altri omosessuali sono usciti allo scoperto per denunciare soprusi e discriminazioni e, per la prima volta, un tribunale ha accettato la causa di un dipendente contro l’azienda che l’ha licenziato dopo aver scoperto il suo orientamento sessuale.
Il ritmo del cambiamento, però, è ancora troppo lento: l’omosessualità, infatti, era stata eliminata dalla lista delle malattie mentali già nel 2001 e questa sentenza, che arriva dopo quattordici anni, la dice lunga su quale sia la realtà del Paese. Del resto, fino al 1997 l’omosessualità era ancora considerata un reato e ancora oggi agli omosessuali maschi non è concesso di donare il sangue, mentre le lesbiche possono farlo solo dal 2012. Discriminazione e stigma continuano a rappresentare una drammatica realtà nella società cinese. Pechino, che si è candidata ad accogliere le Olimpiadi invernali del 2022, potrebbe essere esclusa dall’evento a priori. Lo scorso dicembre, infatti, il Cio Olimpico ha decretato che i Giochi non si potranno più tenere in Paesi in cui gli omosessuali vengono discriminati o condannati.
A rischiare di essere esclusi, però, non sono solo la lontana Cina o il Kazakistan: anche Roma, che punta alle Olimpiadi del 2024, potrebbe essere depennata. Mentre dai tribunali cinesi arrivava questa storica sentenza, infatti, il Belpaese confermava la sua anima atavicamente omofoba. Sebbene l’Oms abbia eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nel lontano 1993 e l’Ordine dei medici e quello degli psicologi vietino qualsiasi tipo di terapia riparativa,la Regione Lombardia, nel frattempo ha dato il patrocinio all’incontro “Difendere la famiglia per difendere la comunità”. Evento organizzato, tra gli altri, da «Obiettivo Chaire», un gruppo multidisciplinare che accoglie omosessuali per accompagnarli in un “cammino verso il ritrovamento dell’equilibrio”. Una vera e propria terapia riparativa che ritiene l’omosessualità “guaribile”. A chiudere l’incontro – che si terrà il prossimo 17 gennaio e che sull’invito esibisce addirittura il logo di Expo – sarà nientedimeno che il Presidente Maroni il quale, dopo varie polemiche riguardo il suddetto incontro, ha deciso di trasformarsi in paladino dei gay e della famiglia naturale allo stesso tempo. In un’intervista, infatti, alla domanda che chiedeva a Maroni cosa pensasse della presenza, tra gli organizzatori dell’incontro, di chi pensa che l’omosessualità vada curata, il presidente della Lombradia ha dichiarato: «Per questo ho deciso di chiudere io il convegno. Se qualcuno lo dovesse sostenere dirò che non la penso così».