La follia di Man Ray alla National Portait Gallery

Lavoravano insieme nella loro dark room quando un topolino attraversa il pavimento. Lei terrorizzata accende la luce facendo sì che le immagini assumano uno strano effetto cosiddetto solarisation. Loro sono Lee Miller e Emmanuel Radnitzky. Non vi dicono niente?

È lui il protagonista. Un “accidental genius”, “the first celebrity photographer”, “an eccentric fellow”, Man Ray. La National Portait Gallery di Londra lo celebra attraverso più di 150 opere, dal 7 febbraio al 27 maggio, tra collezioni private, fotografie e sketch. “Casualmente capitò sulla tecnica fotografica…” dice Terence Pepper, curatore della fotografia della galleria, descrivendo quel folle genio.

Autore di film d’avanguardia, “fabbricante” di oggetti, pittore e soprattutto fotografo, se non è artista lui… Surrealista e maggior esponente del Dadaismo, l’arte della ribellione, del rifiuto per la convenzionalità, per la tradizione. Tra arti visive, grafica, letteratura e teatro il Dada non è un movimento, è semplicemente arte. Come quella espressa dall’ideatore della solarisation, tanto nota oggi quanto all’epoca. Tra il 1916 e il 1968, infatti, in America e a Parigi il nome di Man Ray risuonava tra artisti, celebrità e personaggi di un certo nome.

Jean Cocteau, Salvador Dalì, Marcel Duchamp, James Joice, Pablo Picasso e tanti altri, ormai in amicizia con il genio ribelle, tanto eccentrico quanto apprezzato. “Quando Miller lo lasciò nel 1932 scattò un autoritratto, Committing suicide, raffigurandosi con una corda intorno al collo, tenendo una pistola e una pozione”, è così, è lui, è Man Ray. Niente da aggiungere. Tra conceptual art, dipinti, fotografie, regia e sculture è impossibile non rendersi conto dell’essenza dell’arte. Quando istinto e vocazione si incontrano non rimane altro che restare ammaliati e farsi catturare dalle opere di chi può esser considerato il padre del Surrealismo.

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