Dopo la notizia dell’avvenuto disgelo nei rapporti Usa-Cuba, l’immaginazione è corsa rapida a quell’enorme striscione della coca cola che scendeva sulla facciata di un palazzo della Berlino est di Good Bye Lenin*. E la statua dell’alfiere della rivoluzione sovietica che veniva traslocata altrove in elicottero, salutando la Germania e la storia.

Speriamo che non tocchi anche al museo del Che, e ai pilastri ben saldi della Revolucìon che segnò una cesura storica non solo per l’isola di Cuba ma per il mondo intero. Per ora Castro, Fidel Castro, non si vede, forse malato, forse in coma. Cosciente o incosciente la transizione verso il nuovo è avvenuta sotto il suo naso per mano del fratello Raul, consapevole di dover intraprendere un piano di riforme necessarie per togliere Cuba dalla situazione di crisi in cui versa.

Il contractor è tornato in America, e i cinque cubani in carcere da 16 anni sono rientrati in patria come deli eroi, e per ora tutti festeggiano. Ma la domanda che angoscia alcuni e incuriosisce i più è: che cosa avverrà adesso?

Politicamente gli Stati Uniti hanno incassato il montepremi pur avendo perso tutte le mani: perché l’isolamento di Cuba è stato dichiarato un totale e dispendioso fallimento, non solo economico e politico ma anche mediatico. E la rimozione del blocco ormai veniva auspicata non solo all’esterno ma anche all’interno del paese. Adesso Obama, con le mani legate al congresso, tenta di recuperare il recuperabile per la campagna elettorale del 2016, là dove può con gli ordini esecutivi, cercando di consegnare questa fine di mandato alla storia piuttosto che al dimenticatoio. E il disgelo è sicuramente un passo in questo senso, e nel senso dei giovani cubano-americani residenti in Florida che magari qualche voto fondamentale in favore dei Democratici lo esprimeranno.

Ma cosa si nasconde dietro il polverone mediatico? Sarebbe l’unica cosa da chiedersi, visti i tentativi assolutamente recenti di destabilizzare l’isola da parte del governo americano, vedi mio articolo qui, evidentemente falliti, ed altre iniziative di segno opposto alla distensione come la ratifica delle sanzioni al Venezuela da parte di Obama la settimana scorsa (leggi l’articolo). C’è bisogno di cogliere il disegno e non focalizzare lo sguardo solo sul diseglo perdendosi il contorno strategico degli Stati Uniti sull’intero continente Sud-americano.

Il sospetto è uno e uno solo: politicamente Cuba non è crollata né si è indebolita particolarmente dopo che Fidel ha abbandonato il timone, ma economicamente il terreno è permeabile e può franare. Dunque forse è meglio smetterla di tentare colpi di mano eversivi, ma inaugurare una politica di infiltrazione economica di medio lungo periodo come è fuori di dubbio che avverrà: perché a Cuba servono gli investimenti esteri, e agli Stati Uniti serve che Cuba si leghi ad essi piuttosto che ai paesi del blocco sud-americano.

Minare quindi lo stato alle radici svuotandolo di senso dall’interno per mezzo del potere economico (principale leva politica in Brasile e gli altri giganti del Sud America). Come è avvenuto a tutti i grandi del passato. Introdurre il germe del neoliberismo come un vaccino e aumentare lentamente le dosi fino a farlo diventare una pandemia.

Riuscirà Cuba a non fare la fine della Cina, della Russia di Yelzin, e di tutti gli sdrucciolamenti del socialismo verso obbrobri di proporzioni immani?
Il nodo è quindi il modo in cui verrà guidata la transizione tra una Cuba meno arroccata su un immobilismo controproducente e la spiaggia dello Zio Sam, cercando non di restare nel mezzo ma di rafforzarsi lungo il percorso senza cambiare natura e principi. Fregare i grandi capitali(sti) invece di restarne fregati.
Bisogna avere fiducia, anche se il timore è che Good Bye Fidel possa uscire presto nelle sale, e i Diari della motocicletta restino solo la storia di un avventuriero. E occorre riflettere e domandarsi se il socialismo abbia ancora un posto nella storia, o gli arrivederci siano diventati compiutamente degli addii, cosa che nonostante tutto, io non credo.

@aurelio_lentini

*Good Bye, Lenin! è un film del 2003 di Wolfgang Becker.

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