Il primo Gennaio torna nelle sale italiane con il suo ultimo film l’estroso regista americano Tim Burton; questa volta rinunciando ai suoi originali ed ecletticci noir che lo hanno reso famoso in tutto il mondo per raccontarci la storia di una delle più incredibili frodi artistiche della storia. Big Eyes si apre con una fuga coraggiosa; quella di Margaret che, insieme alla figlia e sotto un cielo carta da zucchero, abbandona il tetto coniugale in cerca di libertà. Tutta tremante sembra fin da subito rivelare in questa folle corsa in automobile la sua enorme fragilità nella quale risiede al contempo una forza straordinaria. Margaret è una semplice casalinga che ama dipingere; e conosce immediatamente le difficoltà che una donna sola incontra in una società ancora maschilista impreparata a dare spazio ai primi slanci femminili. Accolta dalle premure della amica Dee-Ann (Krysten Ritter) beatnik da poco arrivata a San Francisco che nel film oltre ad essere l’unico personaggio di fantasia è anche un po’ una specie di voce della ragione, Margaret viene presto sedotta dal fascino del sedicente pittore Walter Keane incontrato nel mercato domenicale dove ognuno era intento a vendere la propria arte.

La scintilla tra i due scocca immediatamente e la giovane pittrice si troverà di lì a poco intrappolata nella tela sapientemente tessuta dal perfido Walter, il quale sfruttando il talento di Margaret e grazie ad una geniale e rivoluzionaria commmercializzazione dell’arte, raggiungerà un inaspettato quanto immeritato successo. Walter è animato da un fiuto raro e diabolico; intuisce il futuro dell’arte precorrendo i tempi. Scopre quanto la diffusione di stampe seriali in grado raggiungere il grande pubblico sia nettamente più proficuo della vendita delle singole opere originali ai consueti acquirenti trovati nei circoli ristretti delle gallerie. Fu lui il primo in un’epoca in cui la stessa arte era ancora un fenomeno misterioso a dire: «Perché non dovremmo vendere l’arte al supermercato o nei grandi magazzini o in una stazione di servizio?». Margaret diventa così spettatrice inerme della ingiusta notorietà del marito; manipolata dall’abile Walter rinuncia in cambio di una opulenza che non aveva mai veramente desiderato alla paternità delle sue opere. A risvegliare la sua coscienza però è la presenza silenziosa e potente della figlia. Margaret dilaniata dal peso di dover mentire alla sua piccola ritrova dopo esser fuggita di nuovo, nel rigoglioso paradiso delle Hawaii, la forza per denunciare l’ingiusta appropriazione del marito il quale nelle sedi di un tribunale sarà ridicolmente costretto a capitolare.

La pellicola scorre piacevolmente per la maestria del grande Tim Burton che non ha mai esitato a definirsi un ammiratore di Margaret e dei suoi ritratti enigmatici di bambini dai grandi occhi che hanno influenzato la sua arte; incanta grazie alla magnetica interpretazione di Cristopher Waltz che come spiega uno degli sceneggiatori riesce ad essere un diavolo senza perdere in simpatia dimostrando di saper tirare fuori con la sua voce ipnotica «il lato più oscuro del personaggio». E poi c’è la graziosa Amy Adams con il suo caschetto biondo platino nei panni dell’ingenua e ardimentosa Margaret capace di restituirci con la sua minuziosa gestualità e una rigorosa recitazione l’animo gentile e semplice della pittrice.
Ed il vero pregio di Big Eyes finisce per essere quello di aver colto in questa bellissima storia gli aspetti tragici e quelli umoristici presenti in essa, tenuti assieme da un singolare equilibrio formale.

Big-Eyes 2