L’anno dell’Isis
Un rito che si ripete ogni anno: sul finire di dicembre si tirano le somme dell’anno che termina e si incolonnano i buoni propositi per quello che si appresta a iniziare. Guardando al 2014, di sicuro deve essersi formato un ghigno di soddisfazione sul volto di Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo del temutissimo Stato Islamico.
Si può affermare, senza troppi tentennamenti, che il 2014 sia stato l’anno dell’Isis e della jihad, che hanno sparso territori e conquistato le prime pagine dei giornali. Ormai di Stato Islamico si parla dovunque e poco importa che non sia una nazione vera e propria. Nella geopolitica mediorientale i confini tra gli stati tracciati dalle potenze occidentali sono diventati tratteggi a matita. Sono le comunità ad aggregarsi e contrapporsi da sé, guidate da un irrazionale senso di unità determinato dall’etnia e dalla religione professata. Turchia, Siria, Iraq e Iran, attaccati dall’avanzata dell’Isis, hanno cominciato a vacillare mentre il Kurdistan acquista via via maggiore unità ; la tenace resistenza dei curdi ha conferito maggiore forza autonomista a quella regione.
Lo Stato Islamico, pur senza confini né istituzioni, si è imposto. Ha potuto farlo in così breve tempo e in maniera così pervasiva perché, diversamente dagli altri movimenti fondamentalisti, all’integralismo religioso ha contrapposto una struttura tutt’altro che chiusa e tradizionalista. Lo Stato Islamico è lo Stato del 2014 perché è, indubitabilmente, quello più social. L’Isis ha saputo approfittare della morbosità per le scene cruente annidata anche nel più rispettabile cittadino. I jihadisti hanno tagliato gole in mondovisione, diffondendo i video su Youtube. Un’operazione mediatica che fa leva sui social ha supportato la propaganda del califfo, che ha attecchito, a giudicare dal numero dei “foreign fighters”, i giovani europei convertitisi alla jihad.
Lo strumento prediletto di comunicazione e aggregazione è Twitter. Grazie al coinvolgimento di informatici è stata addirittura creata l’app The Dawn, pensata per coinvolgere gli utenti i quali, una volta scaricata l’app, mettono i propri account a disposizione dei terroristi per potersi coordinare. All’interno del’Islamic State ci sono esperti in grado di organizzare tweetestorm ad altissima pervasività. L’aggregatore Active Hashtags fa sì che i tweet voluti dall’Isis entrino a far parte dei topic trends, guadagnando sensibilmente in visibilità. Su Twitter vengono anche lanciati agghiaccianti sondaggi. L’ultimo riguarda il pilota giordano Muadh al Kasasbeh, catturato dai terroristi nel nord della Siria dopo che il suo caccia, parte della coalizione anti Isis, era precipitato nei pressi di Raqqa. Il macabro sondaggio “E voi come uccidereste Muadh al Kasasbeh?” circolante su Twitter, ha generato le terribili risposte dei simpatizzanti: c’è chi suggerisce di decapitarlo, chi di lapidarlo e chi di impalarlo, in un rincorrersi di barbarie. Ecco che allora il 2014 è stato anche della violenza sbandierata. Che questo non diventi pardigmatico dovrebbe essere il primo proposito per il 2015.