USA vs Russia nel 2015: alleati, vassalli e nemici
I lampi di luce e le esplosioni illuminano il cielo di Donetsk, pare non rappresentino la gioiosa coreografia pirotecnica dei festeggiamenti di fine anno, ma il segnale d’allarme dell’anno nuovo di guerra che promette di incendiare l’Europa orientale. La ripresa delle ostilità in Ucraina è già nei fatti, oltre che nelle parole della leadership di Kiev, ma anche nelle operazioni di riorganizzazione dell’esercito Ucraino e nello stanziamento di 350 milioni di dollari in armi che Obama ha firmato a favore di quest’ultimo.
Se la guerra per procura tra occidente e Russia dovrà continuare anche sul fronte militare oltre che su quello economico, è questo il momento per entrambe le parti di definire il quadro delle alleanze. Solidissimo il legame tra gli USA e Kiev, tanto che nel nuovo rimpasto di Governo sono stati inseriti in ruoli chiave (finanze, economia e sanità) tre Ministri stranieri, cittadini di altri Paesi, di stretta osservanza filo-occidentale come Jaresko, Abromavicious e Kvitashvili, selezionati sembra dall’agenzia di cacciatori di teste di George Soros, padre finanziatore delle rivoluzioni colorate (il cui padre ideologico è invece l’americano Gene Sharp). La Jaresko è un’americana di origine Ucraina proveniente da un fondo d’investimento, Abromavicious è un banchiere Lituano e Kvitashvili è un uomo di fiducia ed ex-ministro del presidente georgiano Saakashvili, protagonista (sconfitto) dello scontro tra Russia e Georgia in Ossezia del Sud nell’agosto 2008.
Malgrado le nuove fidatissime teste pensanti d’importazione nel collegio di governo, i problemi di Kiev restano gravi e concreti, a cominciare dal catastrofico stato delle finanze. Difficile credere che Obama abbia apprezzato le recenti posizioni degli alleati europei e della Commissione, che parrebbero voler far ricadere i nuovi oneri sugli USA, che già pagano il supporto militare.
Se da un lato Junker ha dichiarato che nel bilancio UE non restano più soldi da dare all’Ucraina, dall’altro un po’ tutti i leader europei frenano su nuove sanzioni e vorrebbero, appena possibile, fare marcia indietro da quelle esistenti che stanno aggravando la recessione nell’eurozona. In questo senso si sono espressi chiaramente sia il cancelliere austriaco (lo stesso che sta facendo rientrare l’oro dalla Fed) che il vecchio, ma ancora ascoltato, Helmut Kohl, oltre che, presumibilmente, Romano Prodi direttamente a Putin, durante la sua recente visita al presidente russo.
Difficile anche credere che qualcuno a Washington non abbia notato le critiche dall’ex-primo Ministro di uno degli alleati più fedeli, l’Australia, il quale ha parlato apertamente di sottomissione del suo Paese agli USA e della necessità di svincolarsi dalle politiche imperiali statunitensi, in particolar modo quelle che mirano a portare conflitti armati sui confini di Russia e Cina. Sidney è più vicina a Pechino che a Washington in termini geografici; la Cina ha una popolazione sessanta volte maggiore e si candida a essere l’epicentro commerciale di quella parte di emisfero per i prossimi duecento anni.
Non è e non sarà sempre facile indurre gli alleati ad andare contro i propri interessi: alla Casa Bianca dovranno essere molto creativi. La svolta distensiva di Obama con Cuba (vedremo quanto concreta e radicale), aiuta ad allentare vecchie tensioni e ha, oltre che un rilevante significato storico, uno splendido ritorno d’immagine per il presidente americano, ma non cambia gli assetti reali sulla scacchiera.
Non quanto, se e quando avesse successo e trovasse il consenso degli altri partner, la volontà dichiarata da Glazev, consigliere di Putin, di puntare a creare un blocco economico strettissimo tra i BRICS, anche in chiave di riduzione e contenimento del predominio globale statunitense. La stessa Russia sembra avere altri, inaspettati, problemi con l’alleato bielorusso, dove Lukashenko cerca di guadagnare posizioni di equidistanza da Kiev, oltre ai gravi disagi sul fronte economico interno e alla debolezza di altri potenziali alleati in chiave anti-statunitense, come Assad e l’Iran, costretti ai margini nell’attuale disastro mediorientale.
Oggi i migliori alleati di Obama in Ucraina sono la Polonia e le ex Repubbliche Baltiche, senza dubbio i Paesi più ingaggiati, anche se ancora non militarmente, sul fronte orientale. La Georgia un po’ meno, visto che questa settimana l’attuale Primo Ministro di Tbilisi ha accusato Saakasvili di tradimento, per aver esortato i militari georgiani a dimettersi per andare a combattere in Ucraina, vicenda che suggerisce qualcosa su quali mele avvelenate siano in serbo per Putin. Ultimo tassello per comporre il quadro di un 2015 di guerra e disinformazione è la creazione a Kiev di un Ministero dell’Informazione, “innovazione” che pur provenendo da purissimi estimatori dei valori europei (soprattutto quelli che andavano in voga nel 1940 nei paesi dell’Asse) quali gli attuali ministri di Poroshenko, assume al nostro orecchio europeo e formalmente democratico, un suono vagamente distopico. Del resto, come diceva qualcuno, la prima vittima della guerra è la verità, quindi nell’interesse unico di tutelarla, meglio sancirla una volta per tutte tramite decreto ministeriale.