USA e Russia, un gioco al massacro

Scorrendo gli eventi della scorsa settimana è semplice spiegare come la crisi finanziaria che si sta scatenando in Russia sia parte integrante dello scontro geopolitico in atto con gli Stati Uniti, il fronte economico di questa nuova guerra globale. A dicembre l’ OPEC ha deciso di non tagliare la produzione di petrolio, permettendo ai prezzi del greggio di poter continuare a scendere verso quota 60 dollari. Il paese leader dell’organizzazione nonché maggior produttore mondiale è l’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti e strettamente legata ad essi da un patto “Oil for security”, la decisione sarebbe stata concertata con l’alleato americano per indebolire Russia e Iran, due produttori che rischiavano di entrare in crisi se il prezzo del barile fosse continuato a scendere, come puntualmente è poi avvenuto col greggio che attualmente si attesta tra i 55 e i 60 dollari.

TH30-RUSSIA_PUTIN_171633fCome ha ammesso lo stesso Putin questo è un duro colpo per la Russia, la quale ha basato le sue previsioni (di profitto e di spesa) su prezzi molto più alti, in seguito al quale si è scatenata la speculazione sul rublo crollato del 20% in giorno dopo che nell’ultimo anno aveva già perso il 60% a causa della guerra, dell’embargo e dei precedenti ribassi petroliferi. Il colpo è stato tale che per tamponare la fuga di capitali la Banca Centrale Russa, in odore di commissariamento dal Cremlino, ha dovuto alzare i tassi sui titoli di stato del 6,5%, sforando quota 17%, più alti che in Ruanda. Allo stesso modo la borsa di Mosca è arrivata a perdere l’8% in un giorno e, per anticipare l’effetto inflattivo, i russi si sono riversati nei negozi a fare incetta di beni stranieri prima che il loro costo arrivasse alle stelle, generando le code che si sono viste in TV e sui giornali (no, non era un assalto ai forni). I russi ricordano bene la crisi del 1998, quando erano tornati in fretta poveri dopo la sbornia capitalista yeltsiniana. Mentre il rublo sembrava franare e Wall Street festeggiava la miglior settimana da ottobre, Obama già preparava il colpo di grazia facendo approvare dal congresso il via libera per nuove sanzioni contro Mosca da attuarsi nelle prossime settimane, quando un perdurare degli attacchi speculativi potrebbe costare al Cremlino anche 100 miliardi al mese. Questa successione dei fatti è largamente condivisa anche dagli analisti occidentali, così come lo è la logica conseguenza che Putin sarà presto costretto a fare marcia indietro (non soltanto in Ucraina) oppure a vedersi rimpiazzato dagli stessi russi a causa del default. Gioco, partita, incontro e leggendo i giornali molti stanno già vendendo la pelle dell’Orso russo al miglior offerente, manco lo avessero abbattuto loro.

La situazione russa è realmente drammatica, questo è un fatto, eppure all’analisi precedente mancano alcuni dati che possono aiutare a fornire un quadro più completo. L’economista Jacques Sapir fa notare come sia la borsa russa che il rublo abbiano anche rimbalzato (mercoledì) e come l’impennata dei tassi e le politiche della Banca Centrale per sostenere la propria valuta abbiano saputo arginare l’attacco, facendo registrare agli speculatori dure perdite. Sempre secondo Sapir utilizzare queste contromosse potrebbe costare alla Russia fino a 30 miliardi di dollari a settimana, trovati finora liquidando le riserve della Banca Centrale che ammontano a 420 miliardi di dollari, ossigeno per circa tre mesi. Considerando questo margine, la bilancia commerciale russa in fortissimo attivo, le riserve in oro in crescita fino a dicembre, il debito pubblico appena al 9% e il consenso di cui gode Putin, se ne deduce che questa settimana non è stato inferto   un colpo di grazia, ma è iniziato di un braccio di ferro, questa politica commerciale e petrolifera è infatti costosa anche per il fronte occidentale. La UE si gioverà in parte del petrolio a basso costo, ma l’embargo colpisce l’Europa e non soltanto la Russia, tutti i leader maggiori  dalla Merkel, a Hollande, a Renzi, questa settimana si sono detti contrari ad un inasprimento delle sanzioni. Renzi ne ha fatta una questione umanitariaoil-prices, domandandosi: come si può colpire la Russia adesso che è in difficoltà?  Nessuno gli ha spiegato che c’è una guerra e che quelle difficoltà ne sono l’effetto, a lui certe cose non le dicono, è rimasto Boy-Scout.  Russia a parte, l’eurozona è già in crisi per le contraddizioni interne legate all’euro, praticamente un eterno bambino al primo giorno d’asilo pronto ad essere immediatamente contagiato da qualunque virus economico, il default di un partner così importante sarebbe un potenziale nuovo shock esterno. Gli stessi USA giocano una partita complicata, in quanto se il petrolio russo a 50 o 55 dollari al barile genera minori profitti lo Shale sotto quella cifra non ne genera affatto, anzi non conviene neppure estrarlo. Pozzi che vengono richiusi, apparecchiature inutilizzate, concessioni pagate profumatamente impossibili da sfruttare, personale in eccesso, previsioni di crescita zero, ritorno degli investimenti impossibile, in una parola: bolla. Lo Shale esiste soltanto se il barile è oltre certi livelli di prezzo, altrimenti è fuori mercato, bisogna operare in perdita. A questo punto se i calcoli di Sapir sono esatti i russi hanno tre mesi di tempo(con le politiche correnti), ma è necessario anche domandarci quanti ne abbiano gli Stati Uniti e le loro banche di investimenti, infatti gli attacchi speculativi sono remunerativi soltanto quando vanno a segno, se l’avversario resiste, di nuovo, si opera in perdita. Gli effetti per l’occidente non si fermano qui, in quanto anche il petrolio del Mare del Nord (più costoso da estrarre) smette di essere profittevole ai prezzi correnti, rischiando di azzerare l’industria petrolifera britannica.

Giulietto Chiesa, cui va la nostra solidarietà per l’ingiustificabile arresto subito in Estonia e per il quale la UE dovrebbe provare vergogna, ha ricordato come da tempo Putin stia preparando un possibile governo di unità nazionale che incorpori anche l’opposizione, inclusi i comunisti. La Storia è testimone della capacità di resistenza del popolo russo quando decide di difendersi unito, non esiste dunque un unico scenario evolutivo, c’è invece la possibilità che Putin non capitoli subito e, forse, che possa addirittura uscire con le ossa meno rotte di alcuni avversari. Sappiamo che per Sapir la Russia ha tre mesi di tempo, esattamente quel trimestre che dagli Emirati dicono ci vorrà prima di ridiscutere le quote di produzione, dovesse il petrolio arrivare anche a 40 dollari. Probabilmente  ha calcolato a Washigton pensa di avere a disposizione molto più di un trimestre prima che gli USA crollino a loro volta, oppure, e questa seconda ipotesi è tanto meno accreditata e probabile quanto più spaventosa, sa per certo di averne ancora meno.