La sospetta corsa all’oro delle Banche Centrali

Ogni paese detiene presso la Banca Centrale le proprie riserve fatte prevalentemente di valuta straniera, titoli di stato esteri e oro. Tra queste riserve quelle auree sono le più difensive in quanto tendono a rivalutarsi in tempo di crisi, sono cioè universalmente individuate come bene rifugio  e quindi anticicliche e meno volatili. La quantità e la produttività delle miniere è inoltre nota e piuttosto stabile, in sostanza gli operatori assumono  che  l’oro non possa inflazionarsi più di tanto perché non ci sono altre Indie Occidentali da scoprire. L’Italia ha delle riserve auree importanti, le terze al mondo, sopra di lei Germania e USA. I paesi occidentali tendono dal secolo scorso a tenere le proprie riserve auree presso paesi amici o alleati, in parte questo era dovuto al rischio di invasione, in cui le riserve di oro fisico rischiavano di rimanere alla mercé del nemico. Ad attrarne una grossa percentuale dopo la guerra fu la FED, coi suoi caveau al sicuro in un paese lontano, alleato, ben armato e geopoliticamente dominante. Anche le riserve italiane sono  distribuite in parte presso di essa (si stimano anche 1000t su 2500t complessive), il resto si trova presso Banca d’Italia, BoE e Banca Centrale Svizzera. Il caso inizia circa un anno fa, quando la Germania ha deciso di far rientrare le proprie riserve con l’obiettivo di tornare a detenerne la metà del totale sulle proprie terre, eppure pare che la FED abbia fatto ostruzionismo restituendone soltanto una parte e ponendo il 2020 come termine per il completo rimpatrio. Questo ha fatto dubitare alcuni che la FED abbia davvero la disponibilità fisica dell’oro europeo, incluso quello italiano, il che stupisce visto che l’oro in deposito non dovrebbe essere movimentato se non per comprare valuta sostenendo la propria moneta, ma ci si aspetta che ciò avvenga con l’oro di proprietà (di cui gli USA sono i maggiori detentori mondiali) non quello altrui.

Registriamo come le tendenze al rimpatrio e alla movimentazione delle riserve non finiscano qui, visto che il 30 novembre in Svizzera si è votato un referendum per l’incremento delle riserve auree, il rientro di quelle all’estero e il divieto di vendita del 20% del totale. Il referendum è stato promosso in questo caso dalla politica, avversato dalla Banca Centrale Svizzera e, in ultimo, bocciato dai cittadini. Anche la Russia da qualche mese sta vendendo massicciamente le proprie riserve in dollari per comprare oro, con l’obbiettivo di sostenere la caduta del rublo. Infine l’Olanda, sulla scia dell’esempio tedesco, ha chiesto il rientro dagli USA di 122t d’oro per un valore di 4 miliardi di Euro, a fronte di quasi 700t complessive, in pratica circa il 18%. Il caso più misterioso è però quello ucraino, secondo alcune agenzie di stampa russe (Interfax) e alcuni siti di controinformazione occidentale (zerohedge, PandoraTV, GlobalResearch) gran parte dell’oro della Banca Centrale Ucraina sarebbe scomparso già a maggio, spedito in US e ormai definitivamente fuori dalla disponibilità di Kiev. I problemi di Kiev sono noti, la scorsa settimana il FMI ha stimato che l’Ucraina per evitare la bancarotta potrebbe aver bisogno di un ulteriore prestito di 16 miliardi di dollari entro il primo trimestre del 2015, inoltre il Wall Street Journal ha riportato la notizia di un  calo del 20% solo a novembre delle riserve in valuta estera utilizzate, pare, per pagare i debiti, compresa una parte di quelli verso la Russia. Complessivamente si parla di un calo dai 16 miliardi di dollari di riserve valutarie ucraine calcolate in maggio, scesi ai 9 miliardi di oggi. Se la presunta sparizione dell’oro ucraino fino a ieri non aveva trovato riscontri nei media mainstream occidentali, ieri il Financial Times ha riportato nello stesso articolo che tra maggio e novembre, anche le riserve auree ucraine si sarebbero nel frattempo dimezzate. Sempre il Financial Times specifica che fonti ben informate alla Banca Centrale Ucraina ammettono che il calo delle riserve è dovuto ad una massiccia vendita su larga scala. La domanda a questo punto è la seguente: l’Ucraina ha venduto l’oro di Stato agli USA, senza informare i cittadini, per finanziare la guerra nel Donbas? Oppure li ha soltanto spostati per tutelarsi in caso di invasione russa?

In generale i paesi europei che hanno chiesto (Germania e Olanda) o tentato di chiedere (Svizzera) il rientro dell’oro, hanno giustificato l’azione con la necessità di aumentare la stabilità e la fiducia delle rispettive nazioni. La motivazione appare poco credibile e le tempistiche sospette: difficile credere che assetti sull’oro fisico piuttosto stabili dalla Guerra Fredda ad oggi (messi in discussione neppure durante la crisi Lemhan), vengano oggi rivisti  simultaneamente e per quantità così significative senza una causa scatenante. La vera ragione potrebbe trovarsi, come detto, nella sfiducia verso la FED a seguito della richiesta tedesca, eventualità che aprirebbe un interrogativo ancora più inquietante sull’utilizzo e la sottrazione di risorse degli alleati da parte del governo US. L’alternativa è che alcune Banche Centrali temano in realtà un nuovo shock valutario (disgregazione dell’Euro?), economico o bellico, che richieda la massiccia disponibilità in tempi rapidi di un bene universalmente accettato da utilizzarsi per sostenere la propria moneta.
Anche questa  non sembra davvero una prospettiva rassicurante.

di Daniele Trovato

twitter: @aramcheck76

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