Antonello Fassari interpreta Pasolini
“C’è chi nasce pe canta’, chi pe balla’ e chi pe pijallo en saccoccia”: questa è la vocazione di Stracci, un uomo “generico”, nato per morire di fame. Il personaggio dello storico film La Ricotta di Pier Paolo Pasolini, è interpretato dall’attore romano Antonello Fassari, in scena al Teatro Vascello di Roma dal 25 al 27 gennaio.
Girato nel 1963, La Ricotta fa parte di uno dei quattro episodi di Ro.Go.Pa.G. (acronimo di Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti, registi di questa pellicola), ed è ambientato nella campagna romana, tra la Via Appia e la Tuscolana, dove si sta girando un film sulla Passione di Cristo. Stracci, la comparsa che interpreta il ladrone buono, ha un solo scopo: procurarsi da mangiare. Il cestino che gli viene consegnato durante la pausa lo sacrifica per darlo alla moglie e ai figli che si trovano sul set e a questo punto nascerà nel protagonista una smaniosa urgenza di cibo. Per procurarselo si traveste da donna, ma un cane glielo ruberà di bocca. Allora tenta di vendere quello stesso cane, “l’infame”, per mille lire offertegli da un giornalista, con le quali correrà a comprarsi della ricotta da un ambulante. Una volta in possesso del succulento pasto, lo divorerà con tanta foga da attirare l’attenzione dei colleghi attori i quali, un po’ per pietà o forse per deriderlo, doneranno a Stracci dell’altro cibo. E strafogandosi di pasta, cocomero, uova e vino il ladrone buono finirà per morire sulla croce di indigestione.
Quest’opera è la narrazione di un’umanità non condizionata, di un’Italia analfabeta, povera e grottesca che si prepara a trasformarsi nella società dei consumi. Nel 1963 la pellicola fu accusata di vilipendio alla religione, nonostante Pasolini confermò che la storia della Passione fosse la migliore mai stata scritta. Quindi ci furono dei tagli e alcune battute vennero censurate: una tra tutte “Via i Crocefissi“, che Fassari invece riprenderà nella sua interpretazione.
Direttamente dal set dei Cesaroni, Fassari, dopo un lungo studio preparatorio sull’opera, anziché usare il classico leggio ha preferito raccontare il linguaggio cinematografico di Pasolini (da egli stesso definito “la lingua scritta della realtà“), calandosi nelle parti dei vari personaggi: un vero e proprio one man show. In realtà, a fargli da spalla c’è un bravissimo Adelchi Battista, pianista e narratore: assieme riusciranno a far commuovere e divertire al tempo stesso, immersi in una scenografia scarna e che lascia poco spazio all’immaginazione. La figura del giornalista, Gianluigi, è emblematica: l’uomo medio, un mostro, ipocrita, che non esiste. Tutte accuse rivoltegli dal regista (nel film di Pasolini interpretato dal grande Orson Welles), lo stesso che si impietosirà davanti al defunto protagonista dicendo: “Povero Stracci, crepare: non aveva altro modo per ricordarsi che anche lui era vivo”.