Il gatto e gli stivali: d’istinto a Centrale Preneste

Un istinto primordiale che conduce “ad aver il coraggio di affrontare gravi pericoli per realizzare un sogno; a credere che i sogni possono essere realizzati, se li si nutre di significato concreto.” C’è questo e molto altro nello spettacolo portato in scena al Centrale Preneste eccezionalmente per due date, il 7 e l’8 dicembre. E parte da una favola antica e famosissima, Il gatto e gli stivali, uno spettacolo che nasce sul palco del Teatro Kismet Opera di Bari, da sempre molto attivo nel teatro ragazzi. Lucia Zotti, regista di questa rappresentazione, risponde alle nostre domande su un lavoro che insegna che le fiabe hanno ancora molto da raccontare.

Il gatto e gli stivali, il gatto con gli stivali. La storia che va in scena al Teatro Centrale Preneste rimanda immediatamente a una fiaba popolare tra le più conosciute. Rispetto al racconto originale, quali elementi originali sono stati introdotti?

La fiaba è stata rispettata integralmente nell’itere della storia tradizionale. Abbiamo cambiato soltanto i nomi dei personaggi e inserito un elemento popolare: le comari che spettegolano e diventano il coro che racconta e chiarisce alcuni passaggi della storia.

Nella rappresentazione si usa il dialetto pugliese. Come reagisce il pubblico davanti a questa scelta? Come reagirà secondo voi il giovane pubblico romano davanti a un dialetto che non è quello della sua quotidianità?

Il dialetto viene usato soltanto dalle comari, ma si tratta soprattutto di un’inflessione dialettale. Le parole infatti sono italianizzate, resta soltanto il tormentone divertente della domanda che le comari si scambiano spesso: E ci ha seccisse? Ovvero: E che è successo? Il pubblico di Roma si divertirà come accade sempre con tutti i tipi di pubblico, di ogni provenienza.

Lo spettacolo è costruito curando tutti i dettagli della rappresentazione. Ci sono le musiche originali di Nicola Masciullo, i costumi di Monica Contini, gli oggetti di scena di Massimiliano Massari e le luci di Vincent Longuemare. Come dialogano tutti questi elementi in scena?

Il nostro approccio alla costruzione di uno spettacolo è molto corale e condiviso. Nicola Masciullo inventa le musiche e interpreta, come tutti gli attori impegnati, molti ruoli: il padroncino del gatto; una comare; l’Orco Millefacce quindi è molto coinvolto negli accadimenti teatrali. Lo stesso avviene per Monica Contini che interpreta una delle comari; la principessa Ciliegina e il Re; Massimiliano Massari e Vincent Longuemare hanno seguito l’evolversi delle scene approfondendo il senso della storia e operando di conseguenza.

Della vostra opera si legge: “Dedichiamo il nostro lavoro a tutte le infanzie che abbiamo incontrato e che continueremo ad incontrare con i nostri spettacoli, con l’augurio che conservino quell’istintualità troppo spesso sepolta da tecnologie seducenti e ridondanti.” Che valore avete dato all’istinto in questa storia?

Abbiamo voluto evidenziare quello che è già nella favola. Il gatto rappresenta l’istinto primordiale che anche l’uomo possedeva, quella qualità del sentire umano che viene soffocata dalla razionalità, quell’istinto che conduce ad ascoltare e seguire la propria voce interiore fino alla meta. E speriamo che questa informazione venga colta anche dagli adulti.

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