La legittimità del licenziamento comminato al cassiere infedele

Con la sentenza n. 19983/2014, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento di un cassiere di un casinò che registrava alcune operazioni che, nella realtà, non erano mai state effettuate dai clienti del casino presso cui lavorava.

La Corte, ha dunque confermato quanto già statuito con la sentenza emessa dal Tribunale di I grado, in relazione all’azione promossa dal predetto cassiere avverso il licenziamento comminatogli dal casino presso cui prestava la sua opera lavorativa, a seguito di false registrazioni di cassa, relativamente a delle operazioni mai compiute, o comunque non riconosciute, dai clienti del predetto casino.
Nel giudizio di primo grado era stata riconosciuta la legittimità del recesso, mentre in fase di appello il lavoratore era stato reintegrato nel posto di lavoro, ottenendo, altresì, un cospicuo risarcimento del danno. Si rileva a tal riguardo che, trattandosi di una controversia incardinata prima del 2012, il datore di lavoro, con la sentenza di appello, era stata condannato alla refusione di tutte le retribuzioni maturate dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, sino all’effettiva reintegra.
La Suprema Corte, con una prima decisione risalente a novembre del 2013, aveva confermato la legittimità del licenziamento, ribaltando dunque la Sentenza di II grado, rinviando alla Corte di Appello per la determinazione delle somme percepite a titolo di risarcimento dopo la predetta pronuncia di appello e da restituire all’azienda.

Tale somma veniva quantificata dalla Corte di Appello, ma la decisione veniva impugnata dal lavoratore, il quale lamentava diversi profili di illegittimità della pronuncia. A titolo esemplificativo, lamentava alcune circostanze di diritto quali la violazione della competenza territoriale, ed altri circostanze sostanziali quali la mancata valutazione dei fatti decisivi per la controversia nonché l’errato computo degli importi.
La Corte rigettava tutte le doglianze, dichiarando inammissibile le domande relative alla liceità del recesso e respingendo le ulteriori contestazioni al lavoratore.