L’omertà è violenza: in Usa le vittime di stupro rompono il silenzio
Un materasso, un enorme e ingombrante materasso. Emma Sulkowitz, studentessa della Columbia, ha deciso di portarlo con sé ovunque vada. Di portarlo da sola come da sola porta, ormai da anni, il peso della violenza subita tra le mura di un college che non ha voluto difenderla. Sì, perché Emma su quel materasso è stata stuprata da un compagno di università che è ancora libero di girare per il campus, perché la polizia e lo staff universitario non le hanno creduto.
Non è stato facile per Emma rivelare di essere stata stuprata. L’ha fatto dopo mesi, quando ha scoperto che il ragazzo che aveva abusato di lei si era approfittato di altre due ragazze. Insieme, allora, lo hanno denunciato. C’è voluto tutto il loro coraggio per ammettere la violenza, di superare la paura di non essere credute, di parlare a un estraneo di un dolore tanto intimo.
La Columbia University, però, ha preso le difese del ragazzo, che è stato ritenuto “non responsabile”. Così, ora Emma porta sulle spalle quel materasso che rappresenta una doppia violenza, quella dell’uomo che l’ha stuprata e quello di chi l’ha costretta a guardarlo mentre inventava i dettagli della loro relazione sessuale, di chi l’ha costretta a spiegare come sia fisicamente possibile essere stuprate analmente, di chi ha punito l’amica che ha testimoniato in suo favore facendole scrivere due saggi, uno dal punto di vista della vittima e uno dal punto di vista dell’aggressore.
Così, il simbolo di quella violenza è diventato il simbolo di chi non vuole cedere all’omertà e che combatte contro il silenzio dell’Università che sembra tenere più al suo prestigio che alla sicurezza dei suoi studenti.
La Columbia, però, non è un caso isolato: secondo i dati – risalenti al 2012 – dell’Istituto Nazionale della Sanità Americano – tra il 20 e il 25 percento delle universitarie affermano di essere state vittime di stupro o di un tentativo di violenza. Tra loro, meno del cinque percento denuncia lo stupro alle autorità: uno dei motivi principali è la paura di non essere credute, un timore che troppo spesso si trasforma in realtà. E proprio ai college si è rivolto qualche mese fa il vicepresidente degli Stati Uniti. «Step up. It’s time», ha detto: in piedi, è ora.
E se le università americane ancora non riescono a fare i conti con il drammatico problema degli stupri, proprio dall’esperienza di una violenza subita al college è nato Project Unbrakable, un progetto fotografico che da voce «alle sopravvissute e ai sopravvissuti di violenza sessuale, violenza domestica e abusi su minore».
Sul Tumblr, creato nel 2011 da Grace Brown, le vittime di abusi si alzano in piedi e gridano al mondo quella violenza attraverso le parole pronunciate dai loro aguzzini: oltre quattromila donne e uomini hanno raccontato la loro storia con una semplice fotografia in cui, mentre lo sguardo fissa la camera, un cartello sulla bocca riporta le frasi dell’aggressore durante lo stupro, le parole di chi a quella storia non ha voluto credere, il dolore provocato dal silenzio.
È una denuncia potente, disarmante, a tratti insopportabile, che dimostra la volontà di non tacere, che ci ricorda – come il materasso di Emma – che anche l’omertà è violenza, che ci obbliga a non distogliere lo sguardo e ad ascoltare il grido che si leva da quelle foto: nonostante tutto, «we are unbreakable».