Renzi rottama l’Italicum mentre Forza Italia assiste

Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio. Non bastano formule e incantesimi per sbloccare il testo della futura legge elettorale il cui vuoto normativo ha giustificato le vicende politiche degli ultimi 2 anni. Una foglia di fico di cui si discute dai tempi della Genesi e che continua a creare scompiglio, legittimando una politica che sfugge dall’urna per riversarsi al Quirinale. C’è chi la chiama democrazia ma negli ultimi tempi se ne sono viste tante: dal Governo Monti al Governo Letta, alla rottamazione renziana sino al patto del Nazareno per discutere sul come, quando e perché riformare due sciocchezzuole come la Costituzione e la legge elettorale. Il tutto senza consenso, all’oscuro di quei cittadini che invece legittimamente si sentono presi per i fondelli.

Ingerita la pillola sembrerebbe però che nelle ultime settimane qualcosa si stia muovendo. Dopo l’approvazione il 12 marzo del primo Italicum alla Camera, le acque cominciano ad agitarsi al Senato nel cuore di novembre, in virtù di una serie di modifiche che il Premier avrebbe apportato al testo della riforma. Tre giorni di fuoco. Il 10 novembre Renzi decide di chiamare in raccolta i partiti di maggioranza. Un vertice a cui parteciperanno PD, Nuovo Centro Destra, Scelta Civica, Per L’Italia, Gruppo Misto, PSI e Centro Democratico ed in cui il Premier illustrerà i cambiamenti alla nuova legge: introduzione delle preferenze con capilista bloccati ( quindi scelti dal partito, candidabili in non più di 10 circoscrizioni), ballottaggio solo se il risultato è inferiore al 40%, premio di maggioranza di 340 deputati alla lista (non più alla coalizione) e soglia di accesso per la liste non superiore al 4,5%. Modifiche non di poco conto per Forza Italia che insorge in una serie di contestazioni tra le quali a spiccare è quella di Renato Brunetta, capogruppo FI al Senato, che l’11 novembre dichiarerà: “Non c’è più il Patto del Nazareno” ad ancora ” il testo […] è tutt’altra cosa rispetto a quello che abbiamo approvato a marzo di quest’anno se Renzi unilateralmente ha deciso di buttarlo vada avanti con la sua maggioranza”. Poco dopo anche Paolo Romani (FI) farà la voce grossa: ” Ci attendiamo che le modifiche fatte ieri alla riforma della legge elettorale siano ritirate non essendo concordate”. Uno smacco inaccettabile per il partito azzurro che convoca in giornata un ufficio di presidenza straordinario per concordare una linea condivisa, una soluzione, una risposta. Risposta che arriva direttamente il giorno dopo e direttamente da Silvio Berlusconi il quale dopo un vis-à-vi con Matteo Renzi ricuce lo strappo, scongiurando qualsivoglia stato d’emergenza. PD e FI rilasciano un comunicato congiunto a testimonianza che l’amore supera ogni confine e comunicando l’intenzione di concludere i lavori sulla legge elettorale entro dicembre, mentre quelli sulle riforme costituzionali entro il 2015. Soddisfazione tra le file berlusconiane, Francesco Paolo Sisto dichiarerà: ” Emerge la funzione collaborativa e critica di un partito come Forza Italia” e lo stesso Berlusconi il 15 novembre ribadirà: ” Siamo convinti che i patti si debbano rispettare e in questo caso significa accantonare queste proposte”. Tutto fumo e niente arrosto. Ad perpetuam rei memoriam, ad ogni modo, sarà utile ricordare cosa prevedeva ab origine il testo della legge elettorale approvato alla Camera: soglie all’8% (ora max al 4,5%) per l’ingresso in Parlamento dei piccoli partiti, liste bloccate quindi niente preferenze e premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista, come previsto nell’ultima proposta di Renzi. Tre punti che a quanto pare, non erano inclusi nel patto del Nazareno e non a caso, dato che il personalismo di Forza Italia rifiuta la logica delle preferenze come inviso ai berlusconiani è l’abbassamento delle soglie d’accesso ai piccoli partiti.

Certo è che qualsiasi ipotesi appare opinabile vista la segretezza di un “patto” che, per quanto se ne sa, potrebbe essere tutto il contrario di tutto. L’unico confronto possibile, se non doveroso, resta perciò quello tra Italicum e riforma del Senato, laddove il primo non può prescindere dalla seconda. E’ infatti Inutile stabilire in che modo e con che meccanismo i parlamentari dovranno essere eletti se non si ha ancora la certezza di quanti se ne debbano eleggere né di dove siederanno; producendo una riforma elettorale inutilizzabile senza l’abolizione del bicameralismo. Ora verrebbe da chiedersi cosa accadrebbe all’Italicum qualora un referendum popolare bocciasse le riforme costituzionali? Di fatto la legge, cucita addosso alla sola elezione della Camera dei Deputati, resterebbe lettera morta. Senza contare i vizi e le perplessità che suscita di per sé l’ Italicum a livello di legittimità costituzionale: dal premio di maggioranza sproporzionato sino all’egemonia bipartitica esasperata senza il bicameralismo. Il leit-motiv sulla governabilità rischia, infatti, di prescindere dalla rappresentatività fotografando a livello istituzionale un paese che non esiste. Una certezza comunque resta, Renzi ha garantito che: ” Il voto prima del 2018 sarebbe un errore e una sconfitta inaccettabile per tutti” quindi niente pericolo, il Governo va avanti, siamo salvi. D’altronde a pensarci bene ma a chi conviene andare a votare?

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Fonte: IlFattoQuotidiano, IlSole24Ore, www.CameradeiDeputati.it

@FedericaGubinel