“Voglio vedere se si scop… vostra sorella se dopo non parlate così”, “Perché solo l’Italia se deve occupà de sta gente?”. “Ma te ce l’hai un figlio pe’ fallo scende tranquillo qua de sotto?”. “La celere sta là davanti, la celere se deve mette qua a difende a noi, che pagamo le tasse, no a questi che non pagano un ca…” Nun so io che so’ razzista, so’ loro che sono negri. So’ entrati nel forno e so’ usciti bruciati”.

Rispetto all’ “Interverremo nella maniera più rigorosa possibile per liberare alcune strade dalla prostituzione, che in questo momento crea disagio sociale e chiederemo un intervento deciso della polizia municipale per impedire nel campo rom di via Salviati di bruciare materiale inquinando l’ambiente con fumi tossici”, frase pronunciata dal sindaco di Roma Marino al termine del vertice in Campidoglio con i comitati di Tor Sapienza, le colorite espressioni della gente di quella periferia romana, oggi nell’occhio del ciclone a livello nazionale, risultano sicuramente più illustranti una difficile realtà, oramai da tempo radicata nel nostro Paese. Le belle parole di Marino invece rappresentano, appunto, solo belle e ripetute parole che, augurandosi comunque sempre il contrario visto che la speranza è l’ultima a morire, dimostrano la perenne tendenza italiana a curare, e nemmeno, considerata la presenza oramai quarantennale di conflitti sociali nelle borgate romane, piuttosto che a prevenire. Prima ci fu la chiusura delle fabbriche, molto presenti a Tor Sapienza negli anni ’70, che portò al progressivo abbandono del quartiere da parte di molte persone e a una conseguente forte depressione della zona, risentita dagli abitanti rimasti lì. Poi si passò alla costruzione di palazzoni da consegnare ai baraccati di Roma, cosa che portò solamente ad aggruppare il disagio sociale della città e a creare una netta separazione concettuale a spaziale tra quartieri agiati e disagiati. Infine, dagli anni ’90, gli spazi abbandonati hanno iniziato a essere occupati dai rom e dagli immigrati, in cerca di un posto dove abitare. Vista la tragica situazione è stato poi deciso, negli ultimi due anni, di realizzare un vero e proprio centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa italiana, in via Morandi, che è quello oggetto degli attuali scontri e delle proteste di Tor Sapienza, per giunta appena sgombrato parzialmente.

Se Roma adesso si trova nel centro del mirino della cronaca attuale però, le altre città di Italia non devono né possono tirare un sospiro di sollievo, vista la comune situazione che coinvolge tutte le realtà urbane della penisola. E, come per il caso di Roma, per tutte le altre città si tratta di una percorso storico che, da sempre, ha contribuito all’isolamento urbano e alla ghettizzazione di alcuni strati meno fortunati della società, i quali, invece di essere aiutati, sono stati ancora più denigrati: Tor Sapienza è solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso oramai stracolmo. Basti pensare al Giambellino, nel quartiere Lorenteggio di Milano. Qui, dagli anni ’60, ha avuto inizio un impetuoso processo edilizio che rivoluzionò l’aspetto estetico e sociale del quartiere, dove venivano, e vengono, forniti alloggi per rispondere alla forte esigenza abitativa derivante dall’immigrazione. Oggi il Lorenteggio è in preda a occupazioni abusive e, soprattutto in vista dell’Expo 2015, a fittissimi scontri tra istituzioni e comitati di lotta per la casa, ma, come questo, anche il Ticinese, il Corvaccio, Corvetto. Come non pensare poi al sud, dove la presenza della “mafia controlla tutto” non fa altro che peggiorare l’isolamento delle zone degradate dal resto della città, Napoli in primi?. E allora la domanda sorge spontanea: lo Stato dove sta? Interviene solo quando la situazione è divenuta oramai ingestibile, guarda il caso di Tor Sapienza, o quando ha interesse proprio a mantenere l’ordine, guarda Milano in vista dell’Expo 2015? L’Italia, con l’operazione Mare Nostrum, adesso sostituita da Triton, ha salvato più di 100 mila persone, per poi, nella maggior parte dei casi, segregarle in centri di accoglienza, dove mancano i minimi livelli di assistenza, o nelle zone più degradate della città; come si dice, piove, o fanno piovere, sempre sul bagnato. Aumentando la popolazione di alcune zone come Tor Sapienza, già problematiche per conto loro, crescono il malcontento, la criminalità, il divario sociale. Scoppia così il putiferio che, contornato da mancanza di lucidità ed esasperazione, ecco che si va a finire alla violenza fisica e verbale e al sollevamento di temi come il razzismo, su cui molti esponenti politici poi, vedi Borghezio, iniziano a marciarci per dare adito alle loro discutibili idee. L’ala progressista però, dal canto suo, al di là delle belle parole, non fa altro che pagare, anzi far pagare agli altri, lo scotto di oramai antidiluviane male gestioni politiche, che non hanno fatto altro che promettere interventi di risanamento di quartieri disagiati, accompagnando le belle parole con le visite al quartiere a cui gli abitanti oramai non abboccano più, vedi Paola Taverna. La storia si ripete, e Renzi dove sta? Farà la sua entrata apocalittica nelle zone degradate di Roma e d’Italia? O ha paura di un linciaggio? Si comprenderà finalmente che è da una rivoluzione culturale del Paese che bisogna partire? Lo Stato, invece di aizzare lotte tra poveri, alimentare l’odio, il razzismo e quant’altro, per distaccarsi da un degrado cromosomico con il quale non vuole mischiarsi, è bene che inizi a rifare suo il concetto di democrazia. E questo lo può fare attraverso l’instaurazione di una vera e propria vicinanza tra istituzioni e cittadini, vicinanza intesa come spaziale, ma anche come comunanza di vita quotidiana.

Fonti: Comune Info

Twitter @IlariaPetta

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