Honduras: USA ammettono il golpe.

Questa volta è stato dichiarato apertamente: gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo fondamentale nel golpe in Honduras.

La notizia non è troppo fresca, ma in Italia si trova molto poco in proposito. Poche settimane fa la delfina di Obama per la corsa alla casa bianca il Segretario di Stato Hilary Clinton, in un libro intitolato Hard Choises, ha rivelato, anche in aperta contraddizione con la versione accreditata presso i media, il ruolo del suo ufficio nell’ostacolare il ritorno al governo del presidente Manuel Zelaya, deposto da un colpo di stato.

E’ il 28 giugno del 2009, mentre in Honduras si vota per un referendum consultivo sulla riforma costituzionale, un commando militare, mandato dalla Corte Suprema, attacca la casa di Manuel Zelaya, lo rapisce e lo trasporta in aereo fino in Costa Rica. La sera dello stesso giorno viene letta durante una seduta del congresso una lettera di dimissioni di Zelaya, subito smentita dal presidente confinato in Costa Rica ma egualmente approvata dall’assemblea che nomina come presidente ad interim Roberto Micheletti. Il 29 giugno si scatenano subito numerosi focolai di protesta all’interno del paese e la tensione comincia a salire vertiginosamente. Gli Stati Uniti condannano per bocca di Obama e della stessa Clinton il golpe militare come un atto teso a violare la democrazia, mentre Venezuela e Cuba arrivano a minacciare l’intervento militare. La situazione rischia di precipitare in un bagno di sangue il 5 luglio, quando Zelaya tenta di rientrare in Honduras su di un jet privato insieme al Presidente dell’Assemblea dell’Onu, Miguel d’Escoto Brockmann, ma i militari impediscono l’atterraggio dell’aereo e aprono il fuoco sui manifestanti accorsi in sostegno del presidente uccidendone due. Zelaya non farà altri tentativi.

Arriviamo così al novembre del 2009, quando vengono indette nuove elezioni per eleggere la presidenza. Si registra un tasso di astensione del 70% (a causa della palese violazione della normalità democratica da parte del governo Micheletti) e viene eletto il candidato del partito conservatore Porfirio Lobo Sosa, non riconosciuto dai paesi dell’ALBA e dell’Unasur.

Ma, come si evince dall’analisi del politologo Mark Weisbrot, la verità sommersa è molto più brutta. Il golpe del 2009 ha spalancato le porte al dilagare della violenza: innanzitutto la repressione politica delle opposizione, dei sindacati e dei membri del Fronte nazionale contro il golpe è stata violentissima e continua tuttora; il tasso di omicidi in è cresciuto del 50% tra il 2008 e il 2011; i femminicidi e gli stupri sono aumentati a dismisura e le forze di sicurezza honduregne si sono distinte in una serie di omicidi e atti criminosi rimasti assolutamente impuniti.

È facile quindi immaginare la reazione di chi, come Atilio Boron, ha accolto le rivelazioni della Clinton con un sorriso di sdegno, dicendo semplicemente, “noi lo sapevamo già”. Ufficialmente il timore degli Stati Uniti era che Zelaya avesse intenzione di modificare la costituzione per restare al governo, cosa fala e smentita da Weisbrot, che evidenzia come in nessun modo il presidente avrebbe potuto farlo anche qualora il referendum consultivo fosse risultato favorevole. Il nocciolo della questione era abbattere il governo Zelaya, destabilizzare il paese e farlo transitare a nuove elezioni in modo da tenerlo più facilmente sotto il proprio controllo.

Dunque da un lato le dichiarazioni contro il golpe e l’embargo all’Honduras, dall’altro, come si legge nell’analisi di Weisbrot: la confessione: Clinton ammette di aver usato il potere del suo ufficio per fare in modo che Zelaya non tornasse al governo. “Nei giorni seguenti [dopo il colpo di stato] ho parlato con i miei colleghi di tutto l’emisfero, incluso il Segretario Patricia Espinosa in Messico”, scrive la Clinton. “Abbiamo organizzato un piano per riportare l’ordine in Honduras e essere sicuri che libere e regolari elezioni si sarebbero potute tenere velocemente e legittimamente, in modo da rendere irrilevante la questione di Zelaya.”*

Niente di nuovo per noi, ha commentato recentemente Atilio Boron nel suo Blog, abitanti della regione del pianeta che più ha sofferto – e ancora moltissimo abbiamo da dire – l’insaziabile voracità dell’impero di appropriarsi delle nostre risorse e delle nostre ricchezze. In nessuna altra regione del mondo Washington è intervenuta, direttamente o indirettamente, da così tanto tempo e con tanta intensità come in America Latina e nei Caraibi.*

E sempre stato così, con i golpe violenti, e continuerà ancora a lungo, con tentativi più morbidi, ma egualmente scandalosi, come Honduras e Paraguay o il recente caso venezuelano. Per questo sempre meglio tenere gli occhi aperti e diffondere le informazioni. Perchè la storia, si sa, è sempre mutata e sempre muterà: in peggio o in meglio dipende anche da noi.

@aurelio_lentini

Note.
Mark Weisbrot è un economista americano , editorialista e co-direttore, con Dean Baker , del Centro per la Ricerca Economica e Politica (CEPR) di Washington. Pubblica sul New York Times, sul Guardian , sull’Huffington Post e sul giornale brasiliano Folha de S. Paulo .
Il suo articolo QUI.

Atilio Boron è un politologo e sociologo argentino di orientamento marxista. QUI il suo intervento sul caso Honduras e QUI la sua analisi sul golpe argentina di cui ho parlato qualche tempo fa.

Traduzioni (*)
Le traduzioni con l’asterisco sono mie, di seguito gli originali:

1. First, the confession: Clinton admits that she used the power of her office to make sure that Zelaya would not return to office. “In the subsequent days [after the coup] I spoke with my counterparts around the hemisphere, including Secretary [Patricia] Espinosa in Mexico,” Clinton writes. “We strategized on a plan to restore order in Honduras and ensure that free and fair elections could be held quickly and legitimately, which would render the question of Zelaya moot.”
2. Nada nuevo para nosotros, habitantes de la región del planeta que más ha sufrido -muchísimo más deberíamos decir- la insaciable voracidad del imperio por apropiarse de nuestros recursos y nuestras riquezas. En ninguna otra región del mundo Washington ha intervenido, directa o indirectamente, a lo largo de tanto tiempo y con tanta intensidad como en América Latina y el Caribe.

manuel.zelaya