Il ddl diffamazione, Google e il diritto all’oblio
La notizia nuda e cruda riguarda l’approvazione, da parte del Senato, del ddl diffamazione a mezzo stampa. Testo che, considerate le modifiche apportate dalla Commissione, dovrà essere nuovamente valutato dalla Camera. Dai punti presenti all’interno del ddl ne è scaturito un dibattito le cui radici, in realtà, risiedono in questioni iniziate a essere trattate già dallo scorso maggio. In questo periodo infatti ebbe luogo la sentenza Costeja, elaborata dalla Corte di giustizia europea e riguardante il tema del diritto all’oblio e la responsabilità di tutela di questo da parte di Google.
Procedendo con ordine: il ddl appena approvato dal Senato concerne la diffamazione a mezzo stampa. Un tema dunque ben preciso, la cui normativa prevede disposizioni da applicare alle testate giornalistiche tradizionali, on line, radiotelevisive, nel caso in cui queste pubblichino immagini, attribuzioni di pensieri o frasi a un terzo e che questo le consideri lesive per la sua persona o contrarie a verità. Queste disposizioni prevedono la rettifica, gratuita e senza commento da parte dell’autore ed entro due giorni dalla richiesta, del contenuto contestato. Il giudice può intervenire se non rispettato il limite di tempo e, se necessario, applicare una sanzione amministrativa dai 10 ai 50 mila euro, con eventuale pena accessoria della sospensione dall’ordine da uno a sei mesi. Al di là del respiro di sollievo tirato di fronte alla cancellazione della pena detentiva per i giornalisti, esistono dei punti del ddl considerati intimidatori e sui quali ci si augura una messa in discussione e modifica degli stessi. Uno di questi è l’ammontare della sanzione amministrativa; come infatti sottolinea il Senatore di Sel Peppe De Cristofaro: “è senz’altro molto positivo aver cancellato la pena detentiva per i giornalisti, tuttavia le sanzioni pecuniarie costituiscono un’arma di ricatto forse ancor più temibile, soprattutto per i giornalisti precari e freelance non legati ai grandi gruppi editoriali. E’ inoltre insensato l’obbligo di rettifica senza diritto di controreplica da parte del giornalista presunto diffamatore”. É comunque bene precisare che, nella determinazione della cifra del danno, il giudice, teoricamente, dovrebbe tenere conto dell’entità della testata dal punto di vista della sua rilevanza economica. Non c’è dubbio comunque che il discorso riguardante l’obbligo di rettifica senza polemica sia, soprattutto per un giornalista, che per natura ha bisogno di ribattere e argomentare, a maggior ragione se accusato, limitante. La questione più controversa però, affiancata e scaturita dall’approvazione di questo ddl, è stata quella del diritto all’oblio, che in questo testo ha spazio nell’articolo tre.
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Vogliamo ricordare a cosa fa riferimento il diritto all’oblio? “A quella particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell’onore di una persona, per tali intendendosi principalmente i precedenti giudiziari di una persona”. In parole povere, la cancellazione assoluta di alcuni dati considerati nocivi per una persona. La questione, oltre a divenire fuorviante considerando che ci si inizia a confondere tra deindicizzazione, ovvero la permanenza del contenuto nel sito fonte, senza però essere più trovato dai motori di ricerca e diritto all’oblio, ovvero la vera e propria cancellazione del contenuto, risulta molto problematica per la notizia on line, ormai la più diffusa e accessibile a tutti. Cancellare un contenuto dal web, se in alcuni casi può essere giusto, altre volte implicherebbe una grande perdita di contenuti che vanno al di là di un solo dato, considerata l’ipertestualità della comunicazione virtuale. “Un cittadino ha diritto prima o poi di chiedere a un motore di ricerca la cancellazione di una notizia non più rispondente al vero oppure agganciata o nata tanti anni fa? Questa è la questione. Tutto ciò avviene attraverso il vaglio di un giudice. Sono convinta che questo disegno di legge migliorerà il mondo dell’informazione e che abbiamo fatto un buon servizio a questo Paese e alla sua stampa”, queste le parole della senatrice Pd Rosanna Filippin e relatrice del ddl. Queste sono le sue parole in effetti, ma, parlando in maniera più lungimirante, quali potrebbero essere le conseguenze di questo nuovo testo, se approvato? In un’era in cui oramai è la rete a governare l’informazione, così come altre cose, e nella quale noi addetti ai lavori dobbiamo adattarci a questo grande cambiamento in atto già da molto tempo, e nel quale ci stiamo mano a mano abituando, la questione tutela della privacy ha una valenza diversa da prima. Le regole esistono certo, ma sicuramente contengono un raggio di eccezioni e sottigliezze più ampio, altrimenti, parliamoci chiaro, non ci dovremmo proprio iscrivere ai social network, per esempio. E da qui a fare un passo indietro fino alla sentenza Costeja dello scorso maggio non è stato così difficile o paradossale. Se, per questo caso, da una parte la Corte di Giustizia dell’UE ha rispettato una linearità di principio, ovvero quella che afferma che “la pubblicazione di dati personali in una notizia è giustificata dal diritto di cronaca, quindi dall’interesse pubblico della notizia. Se l’interesse pubblico viene meno col tempo, la pubblicazione non è più giustificata, e quindi è possibile chiedere la rimozione dei dati personali (diritto all’oblio)” dall’altra ha sostenuto che “il motore di ricerca può essere obbligato alla rimozione dei dati personali anche se i siti sorgente non li hanno rimossi”. Come se Google, titolare di un processo di indicizzazione e non di contenuto vero e proprio, possa gestire da sé un discorso così complicato. E proprio perché non riesce, generalmente ricorre all’intervento dei giudici. In seguito a queste sentenza sono aumentate le richieste di cancellazione di contenuti da Google e questo ovviamente può far pensare alla convenienza che alcuni soggetti possono riscontrare in questo, ma è anche vero che, almeno in Italia, sono state respinte più di tre richieste su quattro. É difficile comunque pensare, al di là dei ragionevoli allarmismi derivanti dall’approvazione di alcuni punti del nuovo ddl per diffamazione a mezzo stampa, che Google, di fronte alle numerosissime richieste, stia in ogni momento a chiedere l’intervento di un processo e, soprattutto, considerare fattibile al 100 per cento l’applicabilità del diritto all’oblio on line. Un rapporto dell’Enisa (Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione), che si occupa da tanto di diritto d’oblio, afferma che “una soluzione tecnica per assicurare il diritto all’oblio in rete è generalmente impossibile – evidenziando che- in un sistema aperto e globale come internet è impossibile localizzare tutti i dati personali relativi a un soggetto per cancellarli. Quello che si può fare però è ottenere una soluzione parziale chiedendo ai motori di ricerca di filtrare i riferimenti ai dati da dimenticare, rendendo così più difficile il loro recupero”. L’informazione on line dunque è praticamente impossibile fermarla, ma è giusto fare chiarezza, dal punto di vista concettuale, su temi così importanti e che soprattutto questa chiarezza parta dalle leggi e dal nostro governo.
Fonti: Adnkronos