Il giovane è favoloso, il film un po’ meno
Non era facile in assoluto, tantomeno per un film che aspirasse anche a una digeribilità sufficientemente nazionalpopolare da staccar biglietti al botteghino, confrontarsi con l’intera biografia Giacomo Leopardi, col suo spessore filosofico e soprattutto con la sua grandezza poetica, anche per la difficoltà di ridurre i tempi e le modalità espressive di quell’arte a quelli di quest’altra. Non era facile e in Un giovane favoloso ci si è riusciti soltanto a metà, o forse meno, lascia dubbiosi quindi il clamore della critica, che sembra addomesticata da un lato e galvanizzata dall’altro nello sforzo comune di tenere alte le sorti del cinema italiano. Se è questo il caso non poteva esserci scelta più coerente (e scellerata) che affidare la regia a un cineasta istituzionale, anzi statale, come Martone, che già in Noi credevamo non ci aveva convinto né per senso critico nel riraccontare la storia d’Italia, né per qualità della pellicola.
Se la scelta su quali opere di Leopardi rievocare nel film non poteva oggettivamente ambire alla completezza, è dunque soggettiva e sostanzialmente insindacabile, il modo con cui sono inserite, sempre velatamente didascalico come quasi tutto in questo film, è più che discutibile e non convince quasi mai fino in fondo. Il film è malato di fissità soprattutto nelle prime sequenze, ma si permette poi di sorprendere con rari momenti fluidi e coinvolgenti cogliendo il legame tra il Leopardi privato e lo scrittore, al contrario la seconda parte, girata in modo più dinamico, presenta pregi e difetti opposti ereditando dalla biografia che Ranieri scrisse su Leopardi, dalla quale si è attinto ampiamente, la superficialità che era già nel testo. Le scenografie sembrano luoghi spogliati e ripuliti per preparare l’arrivo del set, con movimenti delle comparse scoordinati e un po’ finti come una produzione del 2014 non dovrebbe potersi permettere. La fotografia e certi dialoghi ricordano i film TV mentre la colonna sonora con inserti di musica elettronica non è un’originale scelta post-moderna: è semplicemente brutta e schizofrenica, forzata e fuori contesto. A passaggi di macchina molto belli, anche se un po’ telefonati, si affiancano tagli da mal di testa e primi piani ossessivi e troppo inutilmente insistiti.
Il film si salva e alla fine commuove grazie a Leopardi e a Germano. Il primo perché è un autore da rileggere e ripensare in età diverse della vita, che ad ogni rievocazione (inclusa quella presentata da Martone) torna a toccarci in modo diverso. Il secondo perché è ormai un grande, grandissimo attore, uno di quegli artisti abbastanza generosi, onesti e talentuosi da farsi carico di un film anche da soli, se necessario, dando lui sì lustro al cinema italiano, almeno per la componente che lo riguarda e ben da prima di quest’ultima straordinaria fatica recitativa.
Il giovane favoloso è alla fine è un film ambizioso ma non perfezionista e quindi pieno di limiti: uscendo dal cinema avevamo la sensazione di un’opera parzialmente riuscita che ha perso l’occasione per giganteggiare nel deserto di commediole para-intimistiche e drammi piccolo-borghesi del nostro cinema e contrapporre un orizzonte più alto alla valanga di supereroi e crime-story sfornate dai botteghini hollywoodiani. Poi si rientra a casa, si accende la TV, si leggono su Internet certe polemiche pseudo-culturali e magari il giorno dopo si fa un giro in libreria, e ci si scopre inaspettatamente stupiti e grati che un film su Leopardi ci siano stati l’aspirazione e il coraggio di girarlo.
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