Radio AUT – La voce di Peppino Impastato, Intervista a Pier Paolo Saraceno
Dal fondo della sala, nel buio, si sentono due voci e compaiono due persone: sono Peppino Impastato e Salvo Vitale che, come una metafora, appaiono da quell’ombra in cui la storia di Cinisi è stata colpevolmente troppo a lungo lasciata.
Comincia così Radio AUT – La voce di Peppino Impastato, messo in scena da Pier Paolo Saraceno, che nello spettacolo ricopre anche le vesti del famoso attivista siciliano. Dopo la tre giorni di tutto esaurito al Teatro Lo Spazio di Roma, ho avuto la possibilità e la fortuna di conoscere Pier Paolo e di poter scambiare due chiacchiere con lui (e con Mariapaola Tedesco, la mamma di P.I nello spettacolo, ndr), trovando nel mio interlocutore un artista a tutto tondo, senza peli sulla lingua e con tanta voglia di poter gridare la sua al mondo.
Innanzitutto, come è nata l’idea di mettere in scena la storia di Giuseppe Impastato e di parlare proprio di quel suo prodotto che fu Radio AUT?
Peppino Impastato è un personaggio che è sempre stato trascurato. La sua storia è spesso stata rivisitata con qualche accorgimento (I Cento Passi, M. T. Giordana) che per fini di spettacolo ne hanno risaltato immagini non troppo veritiere o conformi alla realtà. Parlando con il fratello, Giovanni, e raccogliendo fonti e pensieri sparsi tra chi era realmente vicino all’ambiente di Radio Aut in quegli anni, abbiamo deciso di denunciare ciò che concretamente e moralmente Peppino rappresentava per la sua gente, utilizzando la sua stessa ironia nel fare nomi e raccontare cose ed evidenziando il lato umano della sua creazione, attraverso la quale riusciva ad esprimersi e farsi sentire.
Uno dei pezzi importanti nella vostra rappresentazione è la presenza della madre che compare in scena, narrando quanto avveniva in quegli anni.
Felicia Impastato incarna nel nostro spettacolo ciò che è l’amore di una madre verso il proprio figlio, più forte di qualsiasi altra cosa, nonché soprattutto l’immagine del dolore per la perdita dello stesso, che si può vedere più come un vero e proprio dolore generazionale e della Sicilia tutta. I suoi monologhi sono il frutto di uno studio compiuto su interviste e su un forte lavoro emozionale. E di immedesimazione (precisa Mariapaola).
Sinceramente, trattando di temi così delicati, ci sono stati dei momenti in cui avreste voluto fermarvi lì e non andare oltre?
Assolutamente no. Abbiamo raccontato cose vere e parlato di persone vere, la maggior parte delle quali, peraltro, spirate da un po’. Abbiamo sfidato molti pregiudizi che sono poi gli stessi che abbiamo incontrato proponendo il nostro spettacolo in giro: alcuni comuni, alcune città, hanno avuto paura di affrontare questo tipo di tematiche, vedendole come segno di un orientamento politico e non per come noi le proponevamo, ossia come forma d’arte quale il teatro è, prima di tutto.
In tal proposito, qual è la situazione culturale in Italia legata al teatro?
Difficile, problematica. Lo spettatore andrebbe rieducato, molte volte pensa di stare al cinema e mentre sei in scena è lì che parla, ride, gli squilla il cellulare. C’è poco rispetto per l’arte in genere e in questo la TV, che raramente trasmette spettacoli culturali, non aiuta. Anche per questo stiamo cercando di portare il nostro spettacolo all’estero: altrove c’è sicuramente più valorizzazione dei prodotti artistici.
Ultimissima domanda: se Peppino fosse ancora vivo, cosa penserebbe di quanto c’è oggi in giro?
Probabilmente la sua “montagna” sarebbe decisamente più alta…