I kurdi accusano: «Turchia aiuta Isis»

Dopo settimane di strenua lotta tra i kurdi siriani e i tagliagole dell’Isis, la bandiera nera dello Stato Islamico è stata issata sulla città di Kobane e sventola fiera, chiaramente visibile nella confinante Turchia, che è rimasta inerme a godersi lo spettacolo.

In Siria, a ridosso del confine con la Turchia, il popolo kurdo da alcuni anni ha creato una regione autonoma, il Rojava, costituita da tre cantoni e organizzatasi come una democrazia municipalista di stampo socialista e libertario. Uno di questi tre cantoni, Kobane, quello che confina a nord con la Turchia, è da giorni sotto l’assedio dei jihadisti. I kurdi del Rojava combattono animati da un forte desiderio di libertà e autonomia ma la vicina Turchia, che pure aveva deciso di entrare a far parte della coalizione anti-Isis, non ha mosso un dito per aiutarli. Già era chiaro che l’alleato turco fosse ambiguo e come volevasi dimostrare la Turchia, che guarda con sospetto al pericolo degli autonomisti kurdi, presenti anche sul proprio territorio, di fronte all’assedio di Kobane ha lasciato fare lo Stato Islamico come se fosse suo alleato, guardandolo mentre fiaccava il nemico kurdo.

Nella città turca di Suruç, separata dalla Siria solo da un filo spinato che fa da confine, gli abitanti arrampicati sui muri si passano tremanti i binocoli per vedere cosa succede a Kobane, per scorgere i volti dei guerriglieri dell’IS, per assistere alla presa della città. Ormai Kobane è accerchiata a est, a ovest e a sud. Solo a nord, dove c’è la confinate Turchia, c’è una via di fuga e i cittadini di Suruç si stanno dando da fare per salvare i propri vicini. Lo fanno però in completa solitudine, e anzi all’oscuro del governo di Ankara. Fonti riportano le parole indignate di qualcuno di loro: «Non è possibile, non muovono un dito» e ancora «non stanno facendo nulla per contrastare l’IS, non reagiscono nemmeno quando i mortai raggiungono il suolo turco!».

Quella di Suruç è già una zona, militarizzata e atta a frenare l’avanzata dell’IS però l’esercito, anziché scagliarsi contro i jihadisti, domenica 5 ottobre ha pensato bene di sparare gas lacrimogeni contro una troupe della BBC per farla allontanare. La Turchia ha il secondo esercito più potente all’interno della Nato ma sceglie di lasciare avanzare le forze dell’autoproclamatosi Stato Islamico, e ovviamente non vuole che questo avvenga sotto i riflettori dei media. Ma tanto è: Erdogan al momento ha scelto di sfruttare l’avanzata jihadista per tenere a bada il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Se la Turchia avesse aiutato i kurdi a respingere l’attacco dell’IS il Pkk avrebbe preso il controllo di gran parte della frontiera siriana mentre ad oggi la zona di Kobane è nei fatti in ostaggio e se un giorno l’esercito turco riuscirà a liberarla essa dovrà essergliene riconoscente. L’immobilismo turco è dunque una sapiente e spietata mossa politica, che incrina definitivamente le relazioni diplomatiche tra Ankara e Pkk.

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Twitter: @Fra_DeLeonardis

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