L’inverno ucraino e quello italiano
Dopo la tregua del 5 Settembre l’attenzione dei media è migrata sulla minaccia dell’ineffabile ISIS capace di resistere ai bombardamenti, sfidare gli USA all’intervento su terra e, vero spettro per la nostra opinione pubblica, in grado di minacciare l’occidente sul suo territorio attraverso terroristi autoctoni, integrati e col passaporto in regola. In realtà mentre in un macabro reality globale vediamo morire Kobane ora dopo ora, sul fronte Est della nuova instabilità geopolitica non molto è cambiato. Dal punto di vista militare il conflitto non è cessato, senza contatti quotidiani tra gli eserciti e rispettando un sostanziale congelamento dei confini di guerra, le ostilità continuano. I documenti filmati provenienti dal Donbass mostrano da un lato gli scambi di prigionieri e dall’altro il proseguire dei colpi di artiglieria sulle città della Novorossia, dove in un mese si sono contati comunque quaranta morti. La convinzione diffusa tra le forze separatiste è che l’esercito di Kiev stia approfittando del congelamento per riorganizzarsi, la presenza della forza di pronto intervento nei paesi baltici e il recente invio di due droni europei per pattugliare il confine russo, rafforzano questa consapevolezza.
Alle porte dell’inverno il nodo del gas tra Mosca e Kiev non è ancora stato sciolto, la Russia continua a chiedere il pagamento almeno parziale del debito pregresso e quello anticipato delle nuove forniture, mentre Kiev galleggia sull’orlo della bancarotta. Il prossimo incontro tra le parti dovrebbe essere fissato per questo venerdì. Forse si ricorrerà all’aiuto di una mediazione, visto che il tempo stringe per entrambe i governi: se la Russia dovrà rinunciare a vendere il proprio gas con ricadute critiche per la propria economia, l’Ucraina non sembra in condizione di affrontare l’inverno visto che nei mesi scorsi ha già dovuto importare gas dall’Ungheria, dalla Polonia, dalla Norvegia e iniziare in fretta e furia le perforazioni per lo shale gas con l’americana Chevron che, presumibilmente, passava di là per caso.
Putin dopo l’accordo strategico con la Cina apre il dialogo con l’Argentina per una partnership sugli idrocarburi e coltiva le relazioni con gli altri BRICS per supplire all’embargo. Le sanzioni pesano sia sulla Russia che sul pezzo d’Europa che vi esportava ma non fa notizia, come fa notare Marcello Foa sul suo blog, che il vice-presidente Biden abbia seraficamente ammesso come l’embargo alla Russia sia stato imposto ai paesi europei dal governo Obama contro la volontà dei singoli leader. Biden dichiara che questi si erano opposti in prima istanza, evidentemente consci di quanto le sanzioni fossero contrarie agli interessi dei cittadini europei già massacrati da una crisi lunga e tutt’ora esplosiva. Nell’interesse di chi e con quale consapevolezza i governanti UE, tutti nani politici, abbiano deciso di compiere un atto ostile contro la Russia, è un mistero tutt’altro che impenetrabile di cui nessuno sembra chiedergli conto. Tuttavia come diceva Milton Friedman, uno che di pranzi fatti pagare ad altri se ne intendeva, non esiste un pasto gratis e il conto è rimasto sul tavolo. Verrà consegnato a domicilio ai cittadini italiani in tante comode bollette bimestrali del gas, maggiorate per l’occasione del 5,4%. In Italia quando si blatera di nucleare il costo dell’energia è presentato come un problema cogente, ma quando Washington chiama si diventa facilmente amici dei climi rigidi e sostenitori del riscaldamento a legna.
Non c’è però da disperare e come in un film a lieto fine arrivano le buone notizie da oltreoceano: grazie allo shale oil il greggio esportato dagli USA è quadruplicato nell’ultimo anno e i ritmi di estrazione rivaleggiano ormai con quelli sauditi. Inoltre, per la prima volta in cento anni, cioè dai tempi delle prime automobili, ci arriva la notizia che gli USA hanno esportato un carico di petrolio in Italia, la nave è attraccata a Luglio. Per una fortuita coincidenza i nostri alleati hanno bisogno di esportare (malgrado i prezzi alti del trasporto transatlantico) proprio quando noi, casualmente , rischiamo grossi problemi con gli approvvigionamenti da Libia, Russia e Medio Oriente. Sempre per nostra fortuna è in fase di approvazione da mesi il TTIP, un trattato per favorire il libero scambio tra USA e UE, le cui regole vincoleranno gli Stati a prescindere dalle stesse leggi nazionali ed europee.
Ecco come accade che chiudendo un cerchio perfetto, come fossero regolate da una mano invisibile, nel capitalismo attuale la domanda e l’offerta armoniosamente s’incontrano.
di Daniele Trovato
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