La convivenza non presume la gratuità del rapporto di lavoro
Per potere affermare la gratuità della prestazione lavorativa, prestata da uno dei partner a favore dell’altro, non è sufficiente la convivenza. Questo è quanto statuto dalla Corte di Appello di Genova con la Sentenza n. 162 del 14 aprile 2014.
La vicenda ha riguardato una donna che, dopo avere denunciato alla Direzione Territoriale del lavoro di aver lavorato come dipendente nel bar del partner, vedeva venirsi riconosciuto dalla stessa DTL poco più di un mese di effettivo lavoro presso il predetto bar, ottenendo, dunque, due ordinanze di ingiunzione contro l’esercente.
Il datore di lavoro, ricorreva presso il Tribunale di prime cure, il quale rigettava l’opposizione.
Rivoltosi alla Corte di Appello competente la ricorrente contestava in più punti la sentenza, e, nello specifico, lamentava che il Giudice del Lavoro aveva ritenuto provata la subordinazione solo in base ad alcune dichiarazioni di informatori, rese in sede amministrativa, senza consentirgli di rendere la prova contraria. Inoltre, evidenziava che le prestazioni di lavoro sarebbero state rese in modo del tutto occasionale, aggiungendo che il lavoro era stato svolto a titolo gratuito in ragion del fatto che, a quel tempo, i due erano conviventi.
La Corte di Appello, esaminato il caso, riconosceva che il rapporto di lavoro subordinato era davvero sussistente, tanto in virtù del fatto che tale circostanza era stata confermata agli ispettori non solo dalle dichiarazioni rese dagli informatori ma anche da quelle dello stesso imprenditore, il quale aveva ammesso il lavoro retribuito in contanti dalla donna.
La Corte rammentava quindi il principio che alle dichiarazioni confessorie, rese agli ispettori, si applica l’articolo 2700 del C.C., secondo il quale cui un atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e di quanto dichiarato dalle parti, salvo che sia contestato con querela di falso.
Inoltre la Corte ha precisato che un semplice rapporto di convivenza non consente di presumere la gratuità della prestazione lavorativa. Viceversa, per poter affermare il contrario, è necessario provare una comunanza spirituale ed economica analoga a quella esistente nel rapporto coniugale.
La Corte, pertanto, ha respinto il ricorso ed ha condannato il datore di lavoro alla refusione delle spese di lite.