Caos venezuelano
Dopo aver resistito all’opposizione sociale e ai tentativi di destabilizzazione sostenuti da Whashington, il governo di Nicolas Maduro si trova a fare i conti con altri e forse più spinosi problemi.
Più di un anno fa infatti moriva Ugo Chavez, l’astro della rivoluzione bolivariana, e oggi il fronte del socialismo venezuelano viene attraversato da violenti scossoni: perché l’eredità da gestire non è facile, e l’equilibrio delle economie emergenti dell’America Latina, tra socialismo del XXI secolo e scontro col capitale, è sempre difficile da mantenere.
Il casus belli della “lotta” interna al Partito Socialista Unito del Venezuela (psuv) è la lettera del ministro della pianificazione Jorge Giordani pubblicata il 18 giugno in seguito ala revoca dell’incarico comunicatagli il giorno prima dal presidente Maduro. Giordani, che aveva ricoperto l’incarico fin dall’arrivo di Chávez al potere nel 1999, si toglie più di qualche sassolino dalla scarpa, e accusa il presidente di «incomprensione dei meccanismi economici», incapacità di «leadership» e mancanza di «coerenza», incassando peraltro il sostegno di Hector Navarro, membro della direzione nazionale Psuv e più volte ministro durante la presidenza Chávez.
Apriti cielo: lo scontro fra radicali e riformatori può cominciare. Già prima della rimozione di Giordani infatti, Temir Porras, vicino a Maduro, formatosi alla Scuola nazionale di amministrazione (Ena) a Parigi, aveva fatto appello alla necessità di un più sano pragmatismo nel campo della politica monetaria, assolutamente necessario nelle «circostanze complesse che attraversiamo». I radicali tengono il colpo in canna fino al caso Giordani, poi sparano a mitraglia attaccandosi a un rapporto di Bank of America Merrill Lynch che giudica l’eliminazione di Giordani un «forte segnale della perdita di influenza dell’ala marxista radicale» e denunciano l’episodio come la messa a morte del chavismo da parte dei socialdemocratici.
A solo un anno dalla morte di Ugo la rottura all’interno del suo partito sembra quindi consumata. Ma il punto, come vari commentatori hanno evidenziato, è che in realtà il chavismo stesso non ha mai amalgamato i militanti intorno a una dottrina omogenea. Al contrario, Ugo Chávez è stato l’uomo in grado di muoversi tra e riconciliare in un politica unitaria posizioni politiche anche molto diverse tra loro, riuscendo sempre a tracciare una linea netta di percorribilità tra la trasformazione radicale della società e una realpolitik conscia dei limiti e delle necessità del momento.
Perciò, senza il suo iniziatore, le contraddizioni interne alla dinamica bolivariana si sono intensificate e ora vengono a galla rischiando di ribaltare tutta la baracca. La ricomposizione del movimento è la sfida più importante del dopo-Chávez, e in gioco c’è una posta altissima: la frantumazione della rivoluzione bolivariana da un lato, che aprirebbe a chissà quali scenari, e dall’altra un cammino ancora lungo, ma verso un mondo per il quale in fin dei conti val la pena camminare.