Ancora Matteo Renzi, ancora una volta si parla di riforma dell’articolo 18. Solo contro tutti, contro il suo partito con Bersani che promette battaglia in Parlamento, contro i sindacati che minacciano scioperi ad oltranza. A fare da spalla al premier è sempre e solo Silvio Berlusconi. La “sinistra” di “PierMatteo” ha come miglior interlocutore per le riforme, il leader del centro destra? Basta questo per far riflettere chi, nel segreto delle urne ha votato per l’ex sindaco di Firenze. Anche solo per una questione ideologica, se sto da una parte, non posso stare anche dall’altra.

“Don Matteo” intende, con la riforma, rilanciare il mercato del lavoro. Le aziende, a suo dire, hanno bisogno di contratti flessibili, di non rimanere ancorate ad una tipologia di accordo che non prevede il licenziamento “ad nutum” (non ho più bisogno di te, grazie mille, avanti un altro).
Attacca i sindacati (stavolta con ragione) “A quei sindacati che vogliono contestarci – dice – chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario, si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente.

Sono i diritti di chi non ha diritti quello che ci interessa: li difenderemo in modo concreto e serio. Non siamo impegnati in uno scontro del passato, ideologico”, “vogliamo un mercato del lavoro giusto, con cittadini tutti uguali”.

Proprio su quest’ultima affermazione cade Matteo Renzi se non altro per una questione di senso linguistico. La riforma prevede tra le altre amenità, contratti a “tutele progressive“. Progressive? Quindi i lavoratori non sono tutti uguali. Chi ha 20/30 anni di servizio ha più garanzie del giovane lavoratore. Questo, spiegano, serve per dare flessibilità, per far entrare i giovani nel mondo del lavoro, per fargli fare esperienza. Qualcuno, dovrebbe ricordare ai geni della riforma, che in Italia, proprio per quella sbandierata necessità di far fare esperienza alle nuove leve, ad oggi abbiamo più di 46 tipologie di contratti di lavoro che sfuggono alla tutela dell’articolo 18.

Co.co.co, co.co.pro, collaborazioni continuate e continuative, il lavoro a chiamata, lo staff leasing, i tirocini, sono solo alcuni tra i contratti che non godono delle necessarie tutele.
Nessuno, ed ha ragione Renzi, ha pensato in questi anni a tutelare questi lavoratori, i sindacati in primis. Anche in questo caso, però, il Presidente del Consiglio, cade proprio sulle sue affermazioni.

Se fosse in buona fede, dovrebbe spiegare perché vogliono modificare lo Statuto dei lavoratori sul demansionamento, o sul controllo a distanza. A chi serve, chi l’ha chiesto? Cosa aggiunge alla “flessibilità del lavoro”? O forse, anche questo è un modo per tenere i lavoratori perennemente sotto scacco?
Solo cancellando definitivamente tutte quelle forme di contratto che non danno nessuna garanzia ai lavoratori (e, ricordiamolo, dobbiamo ringraziare la sinistra, i sindacati, la legge Biagi), improntando solo 5, massimo 7 forme di contratto per entrare nel mondo del lavoro, allora potrebbe avere un senso parlare di tutele progressive. Ma tutto questo non si farà mai.
Non toccate l’articolo 18.

Twitter: @GianluGaeta

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