I CD. BONUS VINCOLATI AGLI OBBIETTIVI

La Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 13959 del 27 marzo 2014, ha statuito in merito al pagamento dei c.d. bonus vincolati al raggiungimento di determinati obbiettivi, da individuare anno per anno. Dunque, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro si impegni a pagare al lavoratore un determinato premio senza preventivamente stabilire gli obbiettivi da raggiungere, il lavoratore non può vantare un automatico diritto al risarcimento del danno subito, ma deve provare l’entità e la natura di tale danno.

 

Il caso di specie riguardava un ex dirigente, licenziato da un’impresa aeroportuale, che dopo aver impugnato il licenziamento, otteneva una sentenza di primo grado favorevole, anche se parziale, vedendosi riconoscere l’illegittimità del recesso, ma non il risarcimento per il presunto mobbing subito nonché il danno per la mancata fissazione degli obiettivi da utilizzare per il calcolo del bonus annuale.
L’ex dirigente, quindi, impugnata innanzi la Corte di Appello territorialmente competente quest’ultima parte della Sentenza emessa dal Tribunale di prime cure e vedendosi rigettare nuovamente i motivi di impugnazione, decideva di proporre ricorso per Cassazione.
Gli Ermellini, investiti della questione, non accoglievano i motivi di gravame relativamente alla omessa fissazione degli obiettivi utili ai fini del bonus poiché la violazione di questo impegno, non è di per sé produttrice di un diritto al risarcimento.

Difatti secondo un orientamento ormai consolidato, essendo stato commesso dal datore di lavoro solo un inadempimento soggetto agli ordinari principi civilistici, devono essere risarciti solo la perdita o il mancato guadagno quali “conseguenze immediate e dirette” dell’inadempimento medesimo.
Osserva la Suprema Corte che, in virtù di questi principi, vanno tenuti distinti il momento della violazione dell’obbligo di fissare i parametri utili al fine del bonus, da momento del danno, meramente eventuale. Difatti, può accadere che dall’inadempimento relativo alla mancata fissazione degli obiettivi, non derivi alcun danno, pertanto parte ricorrente deve provare che vi sia stato un danno strettamente collegato al predetto inadempimento.
Sulla scorta di quanto appena detto, aggiunge la Corte, non sussiste in capo al ricorrente il diritto al risarcimento per una mera violazione dell’obbligo contrattuale, poiché nel nostro ordinamento non trovano spazio sanzioni civili punitive.

Contemporaneamente la Suprema Corte rigettava la domanda relativa al mobbing, poiché ad avviso degli Ermellini,il ricorrente avrebbe violato il cosiddetto principio di autosufficienza, secondo il quale chiunque proponga un ricorso di legittimità, ha l’onere di inserire nel testo dello stesso il contenuto essenziale dei documenti che richiamati, senza costringere il Giudice delle leggi a compiere delle generali verifiche degli atti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *