News – Il Mosè di Ridley Scott
LONDRA. SI oltrepassa il gruppo di turisti da selfie in posa sulle strisce pedonali, si attraversa il piccolo cortile con la targa e si è avvolti in un silenzio d’altri tempi. Ecco i londinesi Abbey Road Studios, quelli della copertina dell’album dei Beatles, 1969. Si scendono le scale, i corridoi che portano allo Studio 1 sono costellati dai poster di grandi film le cui colonne sonore sono nate qui.
John Williams ha musicato Guerre stellari-L’impero colpisce ancora, Howard Shore le sinfonie di Il signore degli anelli. Dietro la porta doppia ora ci sono il compositore Alberto Iglesias e il regista Ridley Scott, dall’altra parte del vetro il direttore d’orchestra e cento musicisti impegnati a registrare la colonna sonora di Exodus-Dei e re. Una scena in cui il faraone Ramses (Joel Edgerton) insegue, tra rabbia e disperazione, il popolo ebraico quasi giunto al mare, guidato da un Christian Bale ascetico e barbuto. E un’altra in cui il Mosè giovane e arrogante visita per la prima volta il quartiere degli schiavi: «Bene, bello – approva il compositore spagnolo, collaboratore storico di Pedro Almodovar – ma chiedo ai violini di evitare il crescendo: c’è abbastanza emozione sullo schermo». Ridley Scott annuisce.
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Al centro di Exodus Dei e re, forse il peplum più costoso nella storia del cinema (in Usa a Natale, da noi il 15 gennaio) «c’è il percorso di un uomo alla ricerca di se stesso. Un uomo che perde tutto, deve riconsiderare chi è, per potersi ritrovare. È un film epico, certo, è la storia di Mosè e dell’Esodo, ed è forse il più grande mai fatto ma il mio approccio è sempre il punto di vista dei personaggi. Anche Il Gladiatore non era stato concepito come un kolossal: per me era una storia personale, di vendetta, attorno alla quale abbiamo costruito il film» […].
È preoccupato dalle reazioni delle comunità religiose al film?
«Bisogna essere rispettosi verso una storia a cui milioni di persone credono fermamente. La mia prospettiva è quella dell’essere umano che racconto. Il tratto più affascinante della figura di Mosè è il dubbio, che lo accompagna sempre: ho dovuto convincere Christian Bale a fare il film e la sua interpretazione è la mia ricompensa. Quanto alla fede, io mi definisco un agnostico, ma anche questa è l’ammissione di credere in qualcosa. Si tratta dei principi sui quali viviamo. Sono domande fondamentali che riguardano ciascuno di noi. Credo che il pubblico vedrà il film, e poi ne discuterà» […] (fonte Repubblica).