La “guerra santa” è pulizia etnica

Da mesi ormai seguiamo l’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e Siria e la resistenza di questi ultimi paesi come battaglie di una guerra ma è un rapporto di Amnesty International pubblicato il 2 settembre a chiamare per nome quello che sta accadendo in quelle regioni: una «pulizia etnica di dimensioni storiche».

Nel rapporto intitolato «Pulizia etnica di dimensioni storiche: lo Stato islamico prende sistematicamente di mira le minoranze del nord dell’Iraq» Amnesty International dà conto di tutta una serie di strazianti testimonianze raccolte tra i sopravvissuti ai rastrellamenti e ai massacri di cui si è reso responsabile il gruppo dello Stato islamico. Da quando, il 10 giugno, ha assunto il controllo della città di Mosul, lo Stato islamico ha perseguitato tutte le minoranze etniche e religiose, cioè gli assiri cristiani, gli sciiti turcomanni, gli sciiti shabak, gli yazidi, i kakai e i sabeani mandeani. Anche molti civili arabi e sunniti, sospettati di opporsi al cosiddetto Califfato islamico, sono stati a loro volta vittime di rappresaglie. Nel rapporto molte testimonianze raccontano delle numerose uccisioni di massa avvenute ad agosto nella zona di Sinjar, dove centinaia di persone, tra cui anche ragazzini, sono state rastrellate e poi massacrate. Due delle uccisione di massa più sanguinose sono avvenute il 3 e il 15 agosto, quando l’Is ha razziato i villaggi di Qiniveh e Kocho. {ads1}

Da quando l’Is ha assunto il controllo dell’area uomini, donne e bambini yazida sono stati rapiti. La sorte della maggior parte di loro è ancora un punto di domanda: chi è riuscito a scamparla non ha notizie degli scomparsi, ignora se siano ancora in vita o meno. Un uomo rapito dall’Is e poi riuscito a scappare ha raccontato ad Amnesty International l’orrore di feriti agonizzanti lasciati ad aspettare la morte e le loro grida di dolore rimaste inascoltate. Quanto alla sorte delle ragazze, già da tempo si susseguono le testimonianze di donne yazida vendute agli emiri e abusate sessualmente.

Donatella Rovera, alta consulente per le crisi di Amnesty International, ha spiegato che «nella sua brutale campagna per eliminare ogni traccia di popolazioni non arabe e non sunnite, lo Stato Islamico sta portando avanti crimini orribili e ha trasformato le terre coltivate di Sinjar in campi della morte che grondano sangue». La Rovera non evita di rimbeccare anche le autorità irachene: «Invece di peggiorare la situazione chiudendo un occhio sulla violenza settaria delle milizie o armando le milizie sciite contro lo Stato islamico, come finora hanno fatto, le autorità irachene dovrebbero puntare sulla protezione di tutti i civili a prescindere dalla loro etnia o religione». Si potrebbe estendere tale indicazione anche agli Usa e a quei Paesi europei che pretendono di intervenire armando braccia invece che difendendo vite.

Twitter: @Francesca_DeLeonardis

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