Nuovo braccio di ferro tra l’Ilva e i magistrati
La legge 231 definita ‘salva Ilva’ è incostituzionale, secondo la Procura di Taranto, perchè viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Carta europea dei diritti dell’uomo e il Trattato di Lisbona. La Todisco continua la sua guerra, mentre Riva chiede il dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati.
Al centro della disputa è ancora il decreto salva-Ilva, già contestato dai magistrati. Tale decreto <<viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Carta europea dei diritti dell’uomo e il Trattato di Lisbona: in sostanza, è fuori dalle principali norme di diritto del vecchio continente>> così scrive la Procura della Repubblica di Taranto nelle carte con le quali ha chiesto, prima al giudice per le indagini preliminari eieri al Tribunale del Riesame, di sollevare eccezione di incostituzionalità della legge approvata in Parlamento il 24 dicembre scorso. Come se non bastasse, martedì 8 gennaio il tribunale del riesame ha discusso dell’appello presentato dall’impianto siderurgico contro la decisione del gip, Patrizia Todisco, di respingere l’istanza di dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati. Questi sarebbero infatti, secondo il gip, frutto di un reato perché realizzati con gli impianti a caldo dell’Ilva già sottoposti a sequestro perché inquinanti. L’acciaio che giace sulle banchine ha un valore commerciale stimato attorno al miliardo di euro, motivo per cui l’Ilva non intende accettarne la perdita. L’azienda, per altro, ha annunciato di aver messo in atto ‘un grandissimo sforzo finanziario per procedere regolarmente al pagamento degli stipendi del mese di gennaio. Mi auguro – ha concluso Ferrante – che la situazione possa evolvere positivamente per fare altrettanto il prossimo mese’ perché ‘va da sé che lo sblocco della merce è a questo punto imprescindibile per continuare la vita aziendale che è gravemente danneggiata’ dai provvedimenti della Procura.
Appare, così, come un accanimento ingiustificato e gratuito quello del gip nei confronti dell’Ilva. E c’è chi realmente lo pensa. Ma analizzando i fatti in maniera più approfondita è evidente che si sta svolgendo sotto gli occhi di tutti una vera e propria battaglia combattuta da ben 4 eserciti, tre dei quali schierati sullo stesso fronte: da una parte la Procura e dall’altra il Governo, il gruppo Riva e ovviamente gli operai messi momentaneamente a tacere grazie alla sicurezza dello stipendio di gennaio. Nonostante si trovi in una condizione di minoranza la Procura non demorde e ha già depositato presso la Corte Costituzionale un ricorso per conflitto di attribuzione contro il decreto legge approvato dal governo ai primi di dicembre e successivamente convertito in legge dal Parlamento. Riflettendoci: è forse sbagliato definire – come hanno fatto i pm ionici – incostituzionale un decreto in cui la tutela della salute, dell’ambiente, del diritto a un lavoro salubre, sicuro e dignitoso vengono subordinati alle esigenze della produzione industriale? È forse sbagliato sottolineare la pericolosità di una legge che vede lo Stato riporre nuovamente fiducia in un’azienda che ha già rimandato per anni gli interventi di risanamento ambientale, concedendole come ‘premio’ tutto il tempo necessario per metterli in pratica?
Quello che in molti definiscono un accanimento della Procura tarantina nei confronti dell’impianto altro non è che uno dei principi che connotano la funzione giurisdizionale, che permette di mantenere in piedi le fondamenta stesse dello Stato di Diritto e quella separazione dei poteri che, nel caso Ilva, sta per essere pericolosamente travalicata. Se le decisioni dell’esecutivo vengono così bistrattate dalla restante parte della società, è inevitabile un’incrinatura dell’equilibrio istituzionale e inoltre si crea un pericoloso e preoccupante precedente che apre spazi incontrollabili di abuso, estendendo a tutti gli stabilimenti industriali ‘di interesse strategico nazionale’ la possibilità di autorizzare, in via derogatoria, la prosecuzione della produzione, anche in presenza di provvedimenti di sequestro emessi dall’Autorità giudiziaria sui beni dell’impresa titolare.
Non c’è dunque nulla di ‘innovativo’ – questo il termine usato da molti sindacalisti – nel decreto che ha garantito la continuità produttiva ed occupazionale dello stabilimento, favorendo il futuro industriale della città di Taranto e dell’intera filiera dell’acciaio del nostro Paese. Questa procedura legislativa adottata dal Governo non è affatto, come sostiene Sbarra, un nuovo modello per affrontare casi come quello dell’Ilva di forte tensione fra ragioni industriali e ragioni ambientali, un nuovo percorso in grado di coniugare occupazione e sostenibilità ambientale. Nulla ha trovato ancora la sua coniugazione, e certamente sviluppo e sostenibilità non la troveranno mai finchè per sviluppo si continuerà ad intendere il trarre profitto economico dalle risorse umane e ambientali. Per ora è guerra e, fortunatamente, nonostante i venti avversi, la Procura tarantina non intende deporre le armi.