Occhio per occhio, la legge che uccide
Decapitati, impiccati, fucilati, uccisi da iniezioni letali dopo ore di straziante agonia, “cotti” sulla sedia elettrica, soffocati dal gas. Non sono i protagonisti di un film splatter di serie C, ma gli oltre quattromila detenuti giustiziati dallo Stato nel 2013.
Occhio per occhio, un metro di giudizio che sembra non passare mai di moda. Dagli Stati Uniti alla Cina, dall’Egitto al Vietnam, dalla Somalia fino all’Arabia Saudita, sono ancora molti i Paesi che non sembrano intenzionati ad abbandonare la pena di morte. Nonostante molti segnali positivi, anzi, il numero delle esecuzioni nel mondo è salito da 3.967 nel 2012 a 4.106 nel corso del 2013. Secondo il report dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, il triste primato spetta alla Cina – che solo pochi giorni fa ha giustiziato otto terroristi – nonostante le stime sui dati cinesi siano ostacolate dalla natura di segreto di Stato della pena capitale. L’incremento delle condanne a morte, però, sarebbe dovuto all’aumento vertiginoso dell’attività dei boia di Stato di Iran e Iraq, rispettivamente al secondo e terzo posto nella classifica degli Stati col più alto numero di esecuzioni. In questi Paesi, soprattutto nell’Iraq di Rohani, le condanne sono triplicate e, sia nel 2013 che nei primi mesi del 2014, si è assistito ad un’escalation di esecuzioni che – dice Dario D’Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino – non si registrava dai tempi di Saddam Hussein. {ads1} In questi giorni, però, mentre gli occhi di tutti sono puntati sulle crisi in Medio Oriente, è l’Arabia Saudita a farsi protagonista di una “inquietante ondata di decapitazioni” secondo l’ONG Human Rights Watch. In totale violazione degli standard internazionali sulla pena capitale – secondo cui l’esecuzione può essere comminata solo nel caso dei reati più gravi – nei primi venti giorni di agosto, infatti, sono state decapitate almeno 19 persone, cui è stata data la massima pena per svariati reati, addirittura quello di stregoneria. Del resto, a Riyadh basta offendere un membro della famiglia reale per rischiare di essere giustiziati. Certo, i segnali positivi sul fronte abolizionista non mancano: sono 161 i paesi in cui – o perché abolita in toto o perché inapplicata da anni – di fatto la pena capitale non esiste più. Lo Stato del Vaticano, addirittura, oltre alla pena di morte ha abolito l’ergastolo e introdotto il reato di tortura. Anche negli Stati Uniti, sono sempre di più gli Stati che hanno deciso di eliminare o interrompere le esecuzioni capitali e ora il vento abolizionista sembra iniziare a soffiare più forte, forse spinto anche dalle polemiche sui detenuti morti dopo ore di terribile agonia a causa di cocktail sperimentali di farmaci e veleni. Il trend positivo, però, non basta a compensare un numero sempre più grande di morti. A preoccupare è soprattutto l’inversione di tendenza in molti Paesi che avevano interrotto le esecuzioni, in particolare le democrazie liberali: erano due nel 2011, adesso sono diventate sei.
E un segnale allarmante arriva anche dall’Europa. In Francia, dopo, il trionfo di Marie Le Pen, avrebbero dovuto destare scalpore i risultati del Baromètre de la confiance publique, l’annuale inchiesta demoscopica, da cui è emerso che ben il 50% degli intervistati vorrebbe il ritorno alla pena di morte. E anche nel Regno Unito, che ha mandato in pensione la forca proprio nell’agosto di cinquanta anni fa, il 45% dei sudditi di Sua Maestà sarebbe favorevole. Anche se il dato è in calo (quattro anni fa erano il 51%), la percentuale di chi pensa che l’esecuzione sia l’unico vero deterrente utile per la criminalità rimane straordinariamente elevata. In Italia, l’ultima rilevazione risale al 1997: già allora, l’inversione di tendenza era in atto e la maggior parte degli intervistati si era schierata a favore. E se l’indagine fosse ripetuta oggi? Le accuse d’inciviltà all’India lanciate da ogni pulpito durante l’affaire Marò – e tornate alla ribalta in occasione dell’anniversario della morte di Sacco e Vanzetti in un parallelismo a dir poco ardito – si tradurrebbero in un rifiuto dell’esecuzione capitale o mostreremmo di ricordare la lezione di Beccaria soltanto a giorni alterni?