Argentina: dopo il default la nazionalizzazione
In Italia funziona così, se il titolo fa la notizia allora la sua eco diventa mostruosa. Altrimenti ecco a voi il deserto dell’informazione, tomba del giornalismo di qualità, dove riposano gli articoli migliori e i commenti più interessanti. Come nel caso dell’Argentina, per esempio.
Il “default” di mezza estate è stato infatti sciorinato dappertutto con una pochezza di argomentazioni imbarazzante, nella quale il copia incolla ha giocato un ruolo determinante; ma finito il tormentone si torna al 1491, quando ancora il continente americano non era stato scoperto. Allora non resta che documentarsi alla fonte, tra i giornali, le riviste e i siti di approfondimento autoctoni, annaspando nella nebbia alla ricerca di una luce che possa guidarci in un mare che non conosciamo.{ads1}
Un faro è sicuramente Atilio Boron Alberto, politologo e sociologo argentino di orientamento marxista, che in un articolo del 20 agosto (Los “agronegocios”, el control del dólar y las amenazas a la soberanía económica de la Argentina) rivela un retroscena della crisi argentina che in Italia è stato ignorato quasi del tutto: lo strapotere degli oligopoli in un settore fondamentale come quello agroalimentare.
Come noto, l’economia argentina pone le sue fondamenta proprio nel settore primario, le cui esportazioni sono indispensabili per coprire l’immensa mole di importazioni di cui il paese ha bisogno. A una depressione delle prime consegue pertanto una restrizione delle capacità di approvvigionamento dovuta alla mancanza di liquidità (se prima non vendo i miei cereali non ho i soldi per comprare le cose di cui ho bisogno). Tuttavia, riporta Boron, in questi giorni è diventato noto, seppur non in via ufficiale, che le grandi multinazionali che controllano la produzione e l’esportazione di cereali e semi oleosi (l’Argentina è tra i primi produttori ed esportatori di olii di semi e cereali a livello mondiale), hanno immesso sul mercato solo il 37% dell’ultimo raccolto, diminuendo sensibilmente l’apporto di dollari all’economia argentina, costretta negli ultimi anni a internazionalizzare e concentrare nelle mani di oligopoli stranieri molti settori della sua attività economica.
Le ragioni di un comportamento speculativo di questo tipo sono piuttosto semplici: a una eventuale svalutazione del peso, dovuta per esempio a una nuova crisi delle esportazioni, corrisponde un aumento della redditività del settore agricolo: se il mercato agricolo comincia ad andar male dovrei vendere per prevenire ulteriori ribassi, ma se non vendo e il governo svaluta la moneta allora i miei prodotti diventano più competitivi perché costano meno (sul mercato internazionale) e dunque guadagno di più.
Simili manovre, scrive Boron, dimostrano l’esistenza di una coalizione di interessi dotata di un’enorme capacità di estorsione nei confronti del governo nazionale, incomprensibilmente impotente di fronte al capriccio dei giganti del settore agroalimentare, costretto ad attuare politiche economiche controproducenti per gli interessi nazionali come appunto la svalutazione della moneta. Ciò soprattutto perché a differenza del Cile e del Venezuela, dove i proventi delle esportazioni di rame e petrolio finiscono il larga parte nelle casse dello stato, in Argentina il reddito delle esportazioni agricole rimane nelle mani di società private o straniere.
Il triste risultato è che le valute di cui il paese ha bisogno per svilupparsi sono soggette al capriccio di una manciata di multinazionali, interessate più alla massimizzazione dei profitti che alle necessità del paese. E le conseguenze possono essere tragiche, poiché attraverso il controllo delle esportazioni e delle strategie di vendita, tali gruppi sono in grado di determinare l’offerta di dollari sulla quale potrà contare l’Argentina e quindi la sua eventuale crescita, finché conviene, o recessione, quando la crescita non conviene più. È il frutto amaro della politica di liberalizzazioni che il governo ha attuato durante l’apogeo del periodo neolibersita, alienando parte della sua sovranità in un settore strategico come quello dell’approvvigionamento di valuta estera.
La soluzione proposta da Atilio Boron è radicale: la nazionalizzazione del commercio estero mediante la creazione di una nuova Junta Nacional de Granos che assuma il controllo delle esportazioni e tagli alla radice il meccanismo di ricatto al quale il governo nazionale è sottoposto da parte dei magnati del settore agroalimentare. Un organismo che ponga sotto la sua giurisdizione l’intera catena di produzione e di commercializzazione del sistema alimentare, promuova una riforma fiscale appositamente progettata in base alle nuove realtà del capitalismo agrario e rinazionalizzi i porti dell’idrovia Paraná-Paraguay.
Sicuramente un programma ambizioso, ma che può divenire il motore di un vasto movimento popolare per la difesa e la valorizzazione dei beni comuni: una battaglia che in Italia sembra essere passata come una meteora, ma che l’Argentina, forse, può vincere.
Approfondimenti:
L’articolo integrale sul blog di Atilio Boron: Los “agronegocios”, el control del dólar y las amenazas a la soberanía económica de la Argentina