Recep, il “sultano” che ce l’ha fatta

Immaginate un populista di destra, conservatore, maschilista, più volte Presidente del Consiglio di uno Stato ed affamato di potere come pochi altri. Fatelo decisamente poco avvezzo alle critiche dei mass media, pronto a silurare senza troppi problemi giornalisti scomodi e non assecondati al potere.

Aggiungete un grande decisionismo e un serio pugno di ferro attuato tramite forze di polizia nei momenti di ribellione del popolo (contro di esso, ovviamente). Pensate poi che questo personaggio sia coinvolto in numerosi scandali tra i quali uno – che coinvolge diversi importanti membri del suo Partito – potrebbe anche farlo finire al gabbio. Ma il nostro è molto abile, intelligente e, dato non da poco, piace alla gente. Che lo vota, e lo rivota. Che lo conferma, e lo riconferma, anche quando riesce nel suo sogno: cambiare le carte in tavola e fare del proprio Paese una Repubblica Presidenziale, con la famosa elezione diretta del Presidente della Repubblica. Riuscendo così a ottenere l’ottava vittoria consecutiva alle urne, demolendo le opposizioni, evitando il ballottaggio e assicurandosi potere e – soprattutto – immunità presidenziale.

 

Ci avevate creduto? Non si tratta di un racconto italiano ispirato al passato e proiettato nel futuro e non è Orwell a scrivere; si narra più semplicemente del trionfo di Recep Tayyip Erdogan, primo Presidente della Repubblica turca a essere eletto direttamente dal popolo in elezioni libere. Succede, in perfetto stile “putiniano” – giusto per rimanere in tema di affinità con taluni settantenni brianzoli – a un suo collega di partito, Abdullah Gül, che fu invece eletto in seduta plenaria dal parlamento.
Musulmano, sunnita (suoi punti di forza durante la campagna elettorale), il “sultano” ha fatto valere tutta la sua forza mediatica e il potere propulsore di quel boom economico che ha portato negli ultimi anni la Turchia al 17esimo posto tra le nazioni più ricche del mondo. E ha avuto così vita relativamente facile: 52% dei consensi, ballottaggio evitato, avversari distrutti. Ha raccolto solo il 38% colui che poteva essere la sua più credibile alternativa, lo storico Ekmeleddin Ihsanoglu, mentre è risultato ancora più distaccato il candidato curdo, Selahattin Demirtas, fermo al 9%.

Un successo, questo, che rischia secondo parecchi osservatori di rendere la Turchia ancora più autoritaria e meno laica. Secondo la Costituzione turca – se non verrà ovviamente cambiata con il tempo o con talune Boschi e Finocchiaro orientali – l’inquilino di Palazzo Cankaya (il Quirinale turco), rimane in carica 5 anni rinnovabili solo una volta. Manco a dirlo, l’obiettivo di Erdogan è appunto quello di sfruttare la scia della crescita economica per rimanere un buon decennio abbarbicato al suo nuovo scranno, in modo da poter celebrare il centenario di quella nazione che Atatürk
immaginò decisamente diversa: laica e libera. Per Erdogan l’obiettivo è invece «il passaggio da una Turchia vecchia a una Turchia nuova […] lasciando indietro tutte le incomprensioni». Uno step sancito e reso cristallino dal suo primo movimento una volta eletto: una preghiera alla moschea Eyüp Sultan, luogo noto per aver costituito la prima fermata per i sultani ottomani e per i califfi prima di salire ufficialmente sul trono.
Un modo sicuramente nuovo, rivoluzionario di intendere il potere: senza la bacchetta magica ma con Parlamento, potere giudiziario, mass media, polizia, esercito, servizi segreti ed economia tra le sue mani e a sua completa disposizione. Come un vero sultano.
Non lo sapremo mai ma il dubbio ci resta: chissà se guardando i successi dei propri amici e pensando al Patto del Nazareno e agli incontri con Guerini e Renzi, all’ex Cavaliere non gli girino almeno un po’ le coronarie.

@MauroAgatone

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