Putin contro-embargo all’Italia e alla UE
Quando si lasciano le mani libere all’ultradestra in generale e ai nazi nello specifico, come sta avvenendo in Ucraina ormai dall’inizio dell’anno fanno la propria comparsa alcuni passaggi chiave che sembrano tornare uguali a se stessi.
Dopo gli già sperimentati tentativi di pulizia etnica culminati nel massacro di Odessa e scongiurati nell’Est del paese soltanto dall’insurrezione dei Novorossi , dopo la messa al bando delle opposizioni politiche comuniste, non poteva mancare la ‘notte dei lunghi coltelli’. Nei giorni scorsi sono itornati a piazza Maidan gli scontri con la polizia, le bombe carta e i roghi di pneumatici, in seguito alla decisione di Vitali Klitschko, sindaco di Kiev e già leader della protesta contro il deposto yanukovic qualche mese fa, di far sgomberare gli ultimi sit-in simbolo della fase sedicente rivoluzionaria, in realtà golpista. I gruppi rimasti in piazza senza mai smobilitare fin dalla primavera scorsa fanno riferimento principalemnte a Pravy Sektor e alle altre frange neofasciste minori, mentre i loro leader e camerati che oggi occupano gli scranni governativi vorrebbero imporre una sempre pù difficile normalizzazione, almeno del fronte interno alle forze nazionaliste, banderiste, anti-russe e filo-atantiche. Va anche considerato che l’esercito ucraino nell’Est del paese combatte e bombarda la resistenza del Donbass fianco a fianco con le squadracce della Guardia Nazionale, piena zeppa di ultranazionalisti e miliziani di Pravy Sektor: ogni conflitto a Maidan tra le due anime del regime rischia di avere ripercussioni sul coordinamento e la coesione, già di per se scarsi, delle truppe al fronte. L’accordo momentaneo raggiunto prevede che i manifestanti possano restare impegnandosi a non limitare la circolazione nel centro della capitale. Preso in mezzo tra il fronte di guerra orientale del Donbass, i debiti con la Russia, la crisi economica e la possibile bancarotta, il neo-presidente Poroshenko sembra già doversi guardare alleati sempre meno affidabili e pronti al colpo di mano a cominciare dalle componenti politiche facenti riferimento alla Timoshenko.
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Nel Donbass i ribelli contnuano a riportare considerevoli vittorie tattiche, anche in termini di defezioni nell’esercito ucraino che ormai da tempo tenta di ricorre ai coscritti per reintegrare le proprie ingenti perdite. Tuttavia la sproporzione di forze è tale che il cerchio sembra stringersi sempre di più intorno alle posizioni dei ribelli a Donetsk e Lughansk, dove la crisi umanitaria dilaga e i bombardamenti continuano a non risparmiare nemmeno gli ospedali: ieri un colpo di artiglieria su una struttura sanitaria ha ucciso un uomo e ne ha feriti alcuni altri. Perfino Kiev, dopo che le richieste da parte filorussa sono cadute nel vuoto da mesi, pare si sia decisa ad aprire un corridoio umanitario della Croce Rossa almeno verso la martoriata Lughansk. Per quanto riguarda gli assetti militari, sarà dura per la resistenza del Donbass arrivare all’autunno, quando Kiev dovrà scoprire le carte sulla situazione economica e sul reale impatto del blocco delle forniture di gas imposto da Mosca a causa dei mancati pagamenti. La posizione critica per le truppe di Strelkov, accerchiate ma non ancora fiaccate, rischia di mantenersi tale almeno finché la strategia di Putin continuerà a non prendere in considerazione l’intervento militare diretto, la ragione esplicita di questa scelta è il timore di scatenare una rappresaglia militare da parte della NATO, il passo irreversibile verso l’escalation o la resa.
Se Putin per ragioni strategiche si rifiuta di assecondare le frange interventiste della propria opinione pubblica, non manca di rispondere colpo su colpo giocando su tutti i tavoli non strettamente militari. All’interno di questa strategia rientrano i ben noti accordi di fornitura pluriennale con la Cina, i recenti contatti con l’Iran per l’acquisto di petrolio e l recente risposta all’embargo voluto da Obama a cui i leader europei si sono allineati in fretta. La risposta dello Putin si articola al momento col blocco delle importazioni agroalimentari dagli USA, dalla UE e di alcuni altri paesi schierati con Washington. Soltanto questa prima misura si calcola costerà agli agricoltori italiani diverse centinaia di milioni di euro di mancati guadagni di qui al 2015, proprio quello che ci voleva per un paese tornato in recessione che rischia di veder allungare all’orizzonte l’ombra della Troika prima che gli utlimi raggi di sole settembrini abbiano smesso risplendere sulla penisola. Mentre delle scatole nere dell’MH17 non si sa ancora nulla e sempre più fonti internazionali, malesiane e perfino occidentai mettono in dubbio la versione del Buk russo fornita Kiev, la seconda misura allo studio del Cremlino potrebbe essere la completa chiusura del prprio spazio aereo alle compagnie civili euroamericane. Questo costringerebbe i passeggeri europei a raggiungere la Cina passando per rotte indiane e centro asiatiche, seguendo, seppur in volo, il tragitto seguito da Marco Polo. Un percorso decisamente più lungo e costoso.
di Daniele Trovato
Twitter: @aramcheck76