Vi prego: fate ridere i polli

Quando ero piccola e dicevo idiozie, mia mamma mi diceva ” non fai ridere neanche i polli” per intendere che la mia simpatia era stata talmente scadente da non far ridere neanche animali comunemente considerati molto stupidi. Per anni mi sono chiesta cosa diavolo si ridessero questi benedetti polli e perché, se avessero tanto da ridere, dovevano smettere di farlo proprio alle mie battute. Dopo quasi vent’anni, mi auguro che questi disgraziati animali possano iniziare davvero a farsi due risate dato che sul pianeta, le condizioni di una altissima percentuale di loro è davvero triste.

 
I polli che mangiamo, in realtà, non sono altro che pulcini che hanno vissuto dai 29 ai 35 giorni, non uno di più. Non c’è tempo per loro. Il mercato li chiama e li pretende ad un prezzo sempre più basso.
 La loro razza è un ibrido con il nome da robot: COBB 500, nato in una provetta di un segreto laboratorio di genetica applicata. Questa mostruosa macchina creata per l’ingrassaggio  si converte in uno chilo di carne da banco per ogni chilo e mezzo di mangime misto a antibiotici che ingurgita. Una produttività spaventosa da raggiungere in massimo 35 giorni. Vi siete mai chesti perché i polli allo spiedo dei chioschi sono ognuno la copia dell’altro, identici, della stessa dimensione e peso? Sono il prodotto di una lavorazione industriale alla stregua di un bullone o un pezzo di ricambio per automobile. Questi cuccioli di pollo, chiamati “galletti” per convenienza, per crescere con questa accelerazione, vengono allevati in maniera intensiva e sfamati con mangimi dalla biosicurezza deprecabile. La sofferenza estrema alla quale sono costretti miliardi di animali allevati in maniera vergognosa è direttamente proporzionale ai danni al pianeta e alla salute umana che questo tipo di allevamento causa.{ads1} Se Philip Lymbery, Direttore di CIWF International, ha intitolato il suo libro Farmaggedon, paragonando gli allevamenti industriali di polli a campi di sterminio, non è un caso.  Alla schiusa del suo uovo, il pulcino si trova già in un’enorme capannone, senza finestre, che contiene altre migliaia di suoi simili che non riuscirà neanche a conoscere a causa del sovraffolamento. Una luce artificiale al neon costringe gli animali a non riposare beccando schifezze giorno e notte. Di questo enorme capannone, per vivere  sarà destinato  ad ognuno di loro uno spazio più piccolo di un foglio A4. Su ogni metro quadro si svolge la vita di 22 polli. Facendosi due calcoli, i 35 giorni di vita di ognuno pollo sono circoscritti su uno spazio più piccolo di un foglio da stampante. Molti vengono mutilitati del becco per evitare che nell’affollamento possano ferire i loro compagni di sventura. I pulcini che non superano la selezione genetica vengono buttati ancora vivi nei tritacarne: i loro teneri corpicini sono la base, insieme ad altri materiali di scarto e ai tanti polli che muoiono precocemente di malattia, per i croccantini dei nostri animali domestici che si ammalano sempre di più sviluppando tumori e altre patologie. La artificiale accelerazione della crescita è la  causa delle numerose deformazioni e patologie che affliggono i pulcini allevati nei capannoni. L’assenza di locomozione non permette all’apparato osseo di svilupparsi di pari passo a quello muscolare, chimicamente gonfiato,  portando molti pulcini a morire di fame e di sete per l’impossibilità di raggiungere le mangiatoie a causa di paralisi agli arti. La rapida crescita della muscolatura non è sostenuta dalla stessa crescita di cuore e polmoni causando gravi malattie respirtorie e cardiache.
Chi ha avuto la sfortuna o il coraggio di visitare questi posti racconta di  un rumore spaventoso provocato dal pigolare da migliaia di animali terrorizzati. La vera tragedia di questi allevamenti, che se vogliamo essere egoisti si ripercuote maggiormente su noi consumatori, sono le orribili condizioni igieniche nelle quali cresce quello che mangiamo. Gli animali vivono a temperature elevate calpestando dal primo all’ultimo giorno la loro merda. L’ambiente umido che così si crea è carico di ammoniaca rilasciata dalle deiezioni e di batteri. Proprio per combatterli, i nostri “galletti” vengono imbottiti di antibiotici ogni atroce giorno della loro brevissima vita. Gli antibiotici assorbiti dalla loro carne vengono poi assorbiti dalle nostre cellule che pare ce ne siano davvero grate. Quando queste cellule non ne possono più ci fanno “ciao” con la manina e iniziano a trasformarsi e ad impazzire facendoci soffrire, forse, come un miliardo di polli chiusi in un bunker. Inoltre, le dosi massicce di anibiotici assunte quoidianamente non fanno altro che indebolire il sistema immunitario e facilitare la nascita di batteri resistenti.
Ma, se contro i batteri si può intervenire con gli antibiotici, non ci sono farmaci per i virus. Ecco che entrano in scena i pericolosissimi vaccini che impediscono al virus di manifestarsi ma non di debellarsi, permettendo la vendita di animali solo apparentemente sani di essere venduti con un enorme rischio di trasferimento del virus dall’animale all’uomo. Ricordate l’aviaria? Anche se vogliamo ipotizzare l’assenza totale di intelletto di questo animale, cosa di cui dubito, il pulcino ha sicuramente terminazione nervose come tutti gli altri animali e quindi il dolore fisico lo soffre eccome, sente la fame, la sete e la malattia.
L’allevamento intensivo è un pericolo per il benessere dell’intero pianeta, a causa dell’inquinamento delle acque, lo spreco di risorse, la perdita della biodiversità e l’inquinamento alimentare. In Italia il 70 % di questo mercato è detenuto dal gruppo AIA e dal gruppo Amadori.
I polli si ammalano e soffrono. A noi viene il cancro e soffriamo. A Fido viene il cancro e soffre. Se Fido soffre soffriamo anche noi. In ogni caso, quindi, anche volendo essere dei bastardi anti- animalisti che se ne fottono dei polli, noi, a causa degli allevamenti intensivi, soffriamo parecchio. Gli interessi appaioni comuni: dei polli, dei cani, degli uomini, dell’intero pianeta. Non c’è catena alimentare che tenga. I limiti di questa sono stati superati fino alla degenerazione. Nessun essere vivente della terra si crea con le proprie mani un pasto malsano.
Allora perché non si fa niente? Stupide giustificazioni da branco non reggono. Qualcosa si può fare. E la responsabilità è nell’individuo e facilmente raggiungibile attraverso la conoscenza. Basta informarsi sulle modalità alternative di allevamenti di polli e fare la spesa con il cervello. Non è complicato chiedere al macellaio la carne di un pollo vissuto all’aperto o in allevamenti biologici in condizioni dignitose. Così come non è complicato leggere le etichette.
Le normative prevedono:
• degli abbeveratoi efficienti e raggiungibili;
• disponibilità del mangime;
• la lettiera asciutta e friabile in superficie;
• una sufficiente ventilazione;
• un basso livello sonoro e una situazione climatica adeguata;
• dei controlli e delle ispezioni due volte al giorno per valutare il loro livello di salute
Il mio compito di giornalista è l’informazione, la sensibilizzazione. Lo sto facendo. Coloro ai quali spettano i controlli perché non fanno bene il loro lavoro? E’ una questione di responsabilità.
E che gli allevatori inizino a far ridere i loro polli assicurandogli quanto meno un ciclo di vita dignitoso e privo di sofferenze. Se i polli potessero scegliere cosa mangiare non sceglierebbero di mangiare veleno. Noi possiamo scegliere e scegliamo il veleno. Qual è l’animale del pianeta con meno intelletto? Un pollo riderà di noi.

 

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