LA RIPARTIZIONE DELLA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
La Cassazione, con la sentenza n. 14793 del 30 giugno 2014, ha approfondito il caso di una donna che chiedeva accertarsi il suo diritto al percepire la quota della pensione di reversibilità dell’ex coniuge, deceduto nel 2010, con il quale era stata coniugata dal 1969 al 2005 e dal quale percepiva un assegno mensile.
Le Corti territoriali avevano ripartito la quota tra le due donne (rectius coniuge ed ex coniuge) ma inevitabilmente la questione è giunta fino alla Corte di Piazza Cavour.
La seconda moglie del defunto proponeva infatti ricorso in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 9 della legge n. 898/1970 in considerazione del fatto che Corte territoriale non aveva tenuto in considerazione gli anni trascorsi precedenti al matrimonio, avvenuto nel 2005, soltanto per la necessità di attendere la conclusione del giudizio di divorzio dalla prima moglie.
Inoltre, evidenziava la circostanza che le condizioni economiche di quest’ultima fossero migliori rispetto alle proprie.
Lamentava, altresì, la violazione di legge e vizio di motivazione e più specificatamente la violazione del principio secondo cui la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata, ponderando ulteriori elementi di valutazione, oltre che sulla base della durata del rapporto matrimoniale, tanto al fine di evitare che anche al secondo coniuge, oltre che il primo, non possa continuare a sostenere il medesimo tenore di vita che gli aveva assicurato in vita l’altro coniuge; inoltre la Corte del merito non avrebbe considerato il periodo di convivenza prematrimoniale.
La Suprema Corte ha comunque considerati infondati i predetti motivi seppur esaminati congiuntamente poiché connessi tra loro.
Gli ermellini hanno infatti evidenziato che “L’art. 9 della legge n. 898/1970, che prevede il criterio temporale della durata formale del rapporto matrimoniale ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge titolare di assegno divorzile e coniuge superstite, è stato interpretato da questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 16093 e 10391/2012, n. 5060/2006, n. 28478/2005, n. 6272/2004), in linea con la Corte costituzionale (v. sent. n. 419/1999), nel senso che il giudice del merito ha la possibilità di applicare correttivi di tipo equitativo, tra i quali la durata della convivenza prematrimoniale e le condizioni economiche delle parti interessate, al fine di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita cui era preordinato l’assegno di divorzio ed il secondo sia privato dei mezzi necessari per la conservazione del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita”.
Dunque “la ponderazione in concreto dei diversi parametri rientra nel prudente apprezzamento del giudice del merito, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (v. Cass. n. 2092/2007)”.
Il ricorso è stato dunque rigettato poiché la sentenza impugnata ha comunque tenuto conto del periodo di convivenza prematrimoniale, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, ed, in ogni caso, ha positivamente valutato la circostanza secondo cui una diversa ripartizione avrebbe potuto pregiudicare la funzione di sostegno economico cui era preordinato l’assegno divorzile a favore della prima moglie. Tutto ciò anche in considerazione del fatto che tale circostanza non può essere censurata dalla Suprema Corte mediante una inammissibile richiesta di revisione del giudizio, che di fatto concerneva le condizioni economiche della prima moglie, ovvero di perequazione economica tra le posizioni degli aventi diritto per il tramite del meccanismo divisionale previsto dalla legge.