Il low-cost a tavola non paga

Taglia qui, risparmia di là ed ecco che ci perdiamo tra gli scaffali dei supermercati senza sapere cosa effettivamente stiamo per masticare. Dal 2008 ad oggi, cioè da quando la crisi ha iniziato a manifestare i suoi effetti, la spesa alimentare ha avuto infatti un crollo vertiginoso, circa l’8% in meno, orientando inevitabilmente il mercato verso il low-cost, anche a tavola. Risparmio si, ma almeno facciamo bene i conti.

Il mercato sviluppatosi intorno alla sempre crescente rete di discount e quindi dei cibi a basso costo, sembra essere uno dei pochi fiorenti in un momento storico di depressione come questo, ma non è la sola derivata conseguenza. L’industria della contraffazione si pavoneggia ormai anche nel settore alimentare nei confronti di quei D.O.C., D.O.P., o semplicemente BIO che nella corsa al risparmio non arrivano neanche sul podio. L’etica della taccagneria domestica quasi ci costringe ad adottare inoltre tecniche di conservazione estreme: si congela tutto, anche quello che andrebbe buttato e ancor peggio otto italiani su dieci conservano cibo scaduto, come afferma Coldiretti sulla base del rapporto 2014 di Waste Watcher Knowledge for Expo. In generale i dati Istat parlano di un 2013 in cui il 65% delle famiglie italiane ha ridotto qualità e quantità di cibo acquistato. Sempre secondo Coldiretti il giro d’affari dei discount, è di contro aumentato con un 2,9% di nuove aperture in più rispetto al 2012.

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Gli alimenti taroccati nello specifico, non danneggiano solo l’immagine del Made in Italy ma anche il sistema economico legato alle nostre produzioni alimentari, in cui trasparenza e qualità pagano meno. Di più, molto spesso gli ingredienti a basso costo celano frodi e alterazioni che vanno ad intaccare la salute dei consumatori: carne trattata con ione solfito per ottenere un prodotto rosso e sanguinolento, olio di soia spacciato per extravergine con l’aggiunta di coloranti per sembrare più verde oppure pesce alterato per apparire ad occhi poco esperti sempre fresco. Ed infatti alla diminuzione della spesa sono cresciuti in proporzione (il 14% circa) i cosiddetti allarmi alimentari: cibi e bevande potenzialmente dannosi oggetto di 534 notifiche sulla sicurezza nello scorso anno.

E poi ci sono i paradossi. In media ogni persona spreca 2 quintali di cibo all’anno, spreco che costerebbe circa 8,7 miliardi di euro in soli 12 mesi a fronte di ben un miliardo di persone che invece non sa di cosa nutrirsi. Le risorse, se pur scarse, ci sono: manca più organizzazione e coscienza nel saperle sfruttare ed organizzare, manca un’educazione alimentare.
Riflettiamo su un altro punto. Il pullulare di chef e programmi impiattati in TV non è solo la moda del momento, ma anche il lento evolversi di una economia che cerca nuovi settori e nuovi impianti da cui ripartire. Se vediamo più cucine che telegiornali è perchè forse ci stiamo inconsapevolmente indirizzando verso quella che può essere una delle vie maestre per risalire la crisi. 

@MariaChiaraPier

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