Il Made in Italy che uccide

<<Serve una tregua immediata, il conflitto israelo-palestinese ha già devastato troppe generazioni>>, ha dichiarato qualche giorno fa il ministro degli Esteri Federica Mogherini, dimenticando i lucrosi accordi che vincolano Italia e Stato Israeliano in un romantico abbraccio bellico di import-export .

Così, mentre tante piazze italiane manifestavano la propria solidarietà con Gaza, il Ministro è volato direttamente in Medio Oriente: in agenda gli incontri con Netanyahu e Abu Mazen. Ma che mediazione utile può svolgere un paese come il nostro, così profondamente coinvolto? Una banale messa in scena diplomatica probabilmente, mentre i panni sporchi potrebbe lavarli invece, comodamente a casa. In Italia una legge ben precisa regola l’esportazione e l’importazione, l’intermediazione, la delocalizzazione produttiva e il transito di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione o il trasferimento intangibile di software e tecnologie. Tali operazioni devono svolgersi in maniera conforme ai dettami di politica estera e di difesa del paese, mentre i relativi procedimenti devono essere regolarmente autorizzati dal Ministero degli Esteri ed ogni parere subordinato ai principi vigenti della nostra Costituzione. Si tratta della legge 185/90, che con le successive modificazioni apportate nel 2003 e nel 2012 è frutto di lunghe battaglie ed ancora oggi al centro di un acceso dibattito sul rischio di presunte ed effettive violazioni.
Sono vietati l’ esportazione e il transito di armamenti verso i Paesi in stato di conflitto armato in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite; verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione – <<L’Iitalia rifiuta la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali(…)>> – e soprattutto verso i Paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dagli organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa.
Quale conflitto armato, viene da chiedersi, non viola manifestamente i diritti umani? Ammettendo il paradosso, senza dubbio non si tratta di quello fra Israele e Palestina, dove l’atteggiamento persecutorio di un esercito contro una popolazione straziata ed inerme assume via via i tratti di un genocidio. Persino le parole del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – se pure per esigenze diplomatiche portavoce di una visione parziale e ridotta – hanno sottolineato la gravità della situazione: <<una volta ancora, i civili palestinesi sono stretti tra l’irresponsabilità di Hamas a risposta dura di Israele>>.
Ma il punto interrogativo veramente scomodo, a questo punto, è perché l’ Italia sia diventata il maggior il maggiore fornitore di sistemi militari dell’Unione europea verso Israele. Proprio lo scorso 9 luglio, quando sono iniziati i raid aerei israeliani su Gaza, in coincidenza con il ventiquattresimo anniversario di promulgazione della legge 185/90, l’ Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica, avrebbe inviato i primi due aerei addestratori M-346 alla Forza Aerea israeliana. Un accordo di cooperazione militare inaugurato nel 2005, con il governo Berlusconi, ed intensificatosi fra il 2008 e il 2012 con un ricco bottino di sistemi militari, aeromobili, apparecchiature e tante armi leggere.
<<Il governo italiano sospenda immediatamente l’invio di armi e sistemi militari a Israele e si faccia promotore di una simile misura presso l’Unione europea>>: a chiederlo è la Rete Italiana per il Disarmo, che raggruppa le principali organizzazioni italiane impegnate sui temi del disarmo e del controllo degli armamenti. Secondo un comunicato appena diffuso l’associazione <<chiede che alle doverose parole di condanna degli attacchi aerei sulle aree civili faccia immediatamente seguito un’azione inequivocabile da parte del Governo italiano come la sospensione dell’invio di sistemi militari e di armi nella zona. Il nostro Governo, che in questo semestre ha l’incarico di presiedere il Consiglio dell’Unione europea, si faccia subito promotore di un’azione a livello comunitario per un embargo europeo di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per proteggere i civili inermi e riprendere il dialogo tra tutte le parti>>.

Tuttavia, basta scorrere i nomi di decine di multinazionali coinvolte negli investimenti bellici in Italia e all’estero, per comprendere che un po’ di kaos mediatico ed un’ interrogazione parlamentare placheranno si le coscienze, ma non faranno arretrare certo la longa manu delle lobbies e dei capitali. Nel 2010 ad esempio, crollavano le autorizzazioni all’export delle armi italiane, ma aumentavano le forniture reali e le vendite verso paesi problematici. Allora al centro dell’attenzione finirono gli affari con la Libia, mentre nel frattempo tante altre manovre opache passarono inosservate. In quella ed in altre occasioni anche Amnesty International denunciò il fallimento del controllo su esportazioni e traffici: i dati ISTAT confermarono che dalla Provincia di Brescia sono state esportate durante tutto il 2011 – nel pieno della cosiddetta Primavera araba – armi e munizioni per un valore complessivo di 6,8 milioni di euro ai Paesi del Nord Africa, e oltre 11 milioni di euro ai paesi del Medio Oriente. Oggi tocca a Gaza, raccapricciante teatro di interessi molto lontani dall’apparenza storica e mediatica. Peccato però, che i morti siano veri, in carne, ossa e fiumi di sangue senza più un’anima.
Non riabiliteremo l’umanità senza rifondare l’economia.

Twitter:@AriannaFraccon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *